C’è un certo tipo di persone che appaiono genericamente ben funzionanti: lavorano, hanno una relazione, dei rapporti soddisfacenti, ma che ciclicamente sono pervase da angosce persecutorie. La tipologia più nota di questo tipo di pazienti sono le persone ipocondriache, persone cioè regolarmente dominate dalla paura di aver contratto una malattia molto pericolosa. Questo tipo di persone spesso non sono riconosciute come portatrici di un disturbo psicologico. Di norma infatti si tende a decodificare la loro ansia, come la stessa che provano tutti quando si interrogano sul proprio stato di salute, solo ad una maggiore intensità. Inoltre le persone ipocondriache spesso e volentieri cercano di condividere la propria ansia, sembrano voler suscitare preoccupazioni, e questo innesca normalmente dei processi difensivi: chi ha a che fare con loro e con i loro timori si sente sopraffatto da questa richiesta emotiva, e se ne difende come può – anche con irritazione. L’ipocondriaco è percepito come ansioso, come uno che vuole l’attenzione per cose che non ha, uno scocciatore che prende in prestito il dolore vero delle malattie vere per acquisire una centralità non meritata.
L’ipocondriaco ha però dei parenti, meno invisi socialmente. Ci sono infatti persone che come dispositivo persecutorio scelgono altri argomenti: gli eventi politici, il terrorismo internazionale per esempio, o più frequentemente rischi improbabili che riguardano la loro vita privata e professionale. Non sono malvisti come gli ipocondriaci perché la malattia è un timore con una maggiore base realistica, che deve aumentare con l’età, ma in compenso queste altre persone hanno in comune con gli ipocondriaci diverse cose: prendono spunto da una piccola occasione – il correlato delle analisi del sangue è un errore di contabilità nel contesto del lavoro – e costruiscono in base a quel piccolo trampolino di lancio una narrazione persecutoria che infeliciterà le loro giornate con timori che ad altri appaiono ugualmente irrazionali o improbabili. Per esempio quelli di loro che mettono in campo una fantasia persecutoria in ambito professionale, possono chiedersi angosciati davanti a uno sbaglio commesso: se il capo si accorge di questo mio errore e pensa che sia stato voluto? E se allora pensando che è stato voluto chiama la commissione disciplinare che si mette a indagare sul mio conto? E se si viene a sapere? E di li cominciare a non dormire la notte, chiedere continuamente rassicurazioni a colleghi, controllare ciclicamente tutto quello che hanno fatto. Altri invece, costruiranno la loro ossessione persecutoria nell’ambito della loro vita privata. Alcuni per esempio temendo continuamente di essere traditi dalla o dal partner, oppure, instillandosi il dubbio di avere una tendenza omosessuale.
Per esempio persone che hanno largamente interiorizzato un pregiudizio omofobico dal loro contesto culturale, possono arrivare a torturarsi ossessivamente con l’idea di se come persona omosessuale anche se non hanno mai avuto relazioni omosessuali, non le hanno mai cercate, e – soprattutto – non provano eccitazione indugiando in fantasie omosessuali. (posto che sia poi così saggio porre una distinzione tra eterosessualità e omosessualità – ma diciamo, per amor di facilità e chiarezza). Questa variabile del problema è una per altro delle più insidiose. Perché mentre tutte le altre inducono le persone a cercare di evadere il problema su qualcun altro, da cui cercano rassicurazione – creando problemi al prossimo, specie nel caso della gelosia, ma almeno rendendo il problema ben visibile, le persone che utilizzano il fantasma dell’omosessualità come fantasia persecutoria fanno molta fatica a comunicarla, perché la stessa fantasia glielo proibisce.
Tutte queste vicende di angoscia così diverse tra di loro – hanno in comune alcune cose. La prima appunto, è la costruzione di un’idea persecutoria di qualche tipo, sulla scorta di un modesto gancio di realtà. A queste persone capitano delle esperienze che a loro volta creano in loro una sorta di catena associativa la cui struttura definitiva è comunque qualcosa che li mette in pericolo, li esporrà a sofferenza e vergogna e che – di qualsiasi comparto si tratti – li minaccia. La seconda è l’effetto che spesso tendono a generare nel prossimo, di incredulità, minimizzazione, in qualche caso fastidio – un po’ perché è la conseguenza di un timore che arriva come platealmente non fondato su dati concreti, un po’ perché questa è spesso la funzione inconscia che la patologia assegna alla comunicazione di questi timori. Spesso queste persone trasformano i loro interlocutori in persecutori giudicanti molto freddi ai loro stati emotivi.
La terza cosa che hanno in comune questi assetti psichici è una totale paralisi del contatto con se stessi, con le proprie emozioni, con la propria reale percezione delle cose. Molti studi per esempio correlano alti tassi di ipocondria con alti tassi di alessitimia: le persone ipocondriache cioè fanno fatica a contattare i propri stati emotivi e a verbalizzarli correttamente. Possono fare delle descrizioni dei propri stati d’animo e della loro esperienza molto impoverite, molto poco distinte. D’altra parte se si guardano tutti i casi in cui si presenta questa organizzazione persecutoria si constata che la persona è come se smettesse di fare riferimento a cosa sente e percepisce, mentre da totale credito alla fantasia persecutoria. Nella migliore delle ipotesi in seduta, o davanti a un amico che li riporta alle loro deduzioni e alla loro esperienza concreta diranno: si razionalmente lo so che è così, ma non riesco a utilizzare questa cosa per me. Non ci credo.La maggior parte di queste persone cioè ha un mondo di percezioni di sentimenti, di pensieri che gli suggerirebbe una narrazione dell’esperienza più veritiera e più tranquillizzante, ma quel mondo – non ha ascolto.
L’ultima cosa che hanno in comune queste persone è che alla fine con strategie diverse, si ritrovano tutte menomate nella loro qualità di vita – quando poi nella menomazione non viene coinvolto qualcun altro come succede quando la fantasia persecutoria riguarda la gelosia, che forse rappresenta un capitolo a se. Ma in generale queste persone hanno periodi in cui il loro pensiero – o il loro sonno – è colonizzato dalla minaccia, la loro capacità di fare bene delle cose, o di godersi dei momenti è inquinata e vanificata dalla persistente minaccia, per cui alla fine possono non fare delle cose, non riuscire a distrarsi, rinunciare a delle possibilità perché devono vivere sotto il cono che li protegga dalla fantasmatica minaccia – per cui in fondo possiamo dire che il gradino più profondo di questa organizzazione psichica è rappresentato dal disturbo ossessivo compulsivo, quando cioè per neutralizzare delle ossessioni si cominciano ad attuare dei rituali da evitamento. Inoltre queste persone, spesso possono avere relazioni largamente compromesse, perché come si è detto questo tipo di preoccupazioni quando sono comunicate, e specie se sono comunicate molto spesso, tendono a produrre irritazione e rifiuto.
La mia sensazione – dopo anni di lavoro con diverse variabili di questo funzionamento – è che queste persone, portino avanti una strategia che si deve essere cristallizzata nella prima infanzia. E’ interessante constatare come questo tipo di fantasie si dispieghi maggiormente in momenti di successo, benessere svolta esistenziale – promozioni, una nuova casa, un matrimonio in vista – come se la fantasia persecutoria sia un dispositivo che ha lo scopo di ristabilire un clima di media scontentezza, un dispositivo che sia capace di scardinare una nuova fonte di piacere. Le fantasie persecutorie sono interruttori nevrotici che costringono i soggetti sempre a volare basso, e forse non funzionano tanto diversamente dalle fantasie sessuali che come Bader ha spiegato in quel bel libro che è Eccitazione (Raffaello Cortina ) sono formazioni di compromesso che ci inventiamo per far sopravvivere il piacere, contro le cattive eredità del passato. La fantasia persecutoria in questa prospettiva sarebbe un dispositivo che ci farebbe perdonare il lusso di una conquista, o ancora una volta di un piacere, e ci permetterebbe di andare avanti per quanto a capo chino, colmi di angoscia.
Spesso le persone che hanno questo tipo di funzionamento hanno alle spalle una madre che ha sofferto di una grave forma depressiva, o di una sintomatologia importante o anche, che non si è mai dimostrata capace di empatizzare con i momenti di felicità e di benessere del figlio. Questi adulti sono stati bambini che hanno avuto modi di vergognarsi o di sentirsi in colpa per essere stati dei bambini felici, che raramente hanno visto i genitori genuinamente contenti per loro, e che quando sono stati bambini perciò per un verso si sono sentiti colpevolizzati per il loro benessere di bambini – quando correvano per le stanze e c’era una mamma molto malata a letto, quando sono tornati saltellando perché a scuola qualcuno aveva detto che con i capelli così si era veramente carine, e la mamma ha fatto non una, né due, ma sempre una faccia severa, arcigna, per un altro hanno imparato a non dar troppo credito alla loro percezione interna, al loro essere in diritto di essere contenti. Perché altra cosa importante da ricordare: tutta la psicoanalisi post freudiana insegna che noi impariamo la decodifica dei nostri stati interni dallo sguardo degli adulti: i bambini guardano i grandi per decidere cosa esprimere. Questi soggetti quindi, hanno imparato a provare colpa e a non dar credito alla loro decodifica degli eventi, e se quella gli aveva detto: devi gioire di questo pallone nuovo, devi gioire dei complimenti sulla bambola, com’è bello saltare con la corda. Hanno capito che era sbagliato.
Questo funzionamento allora si è cristallizzato e ogni volta che arriva una fonte di gioia, la fantasia persecutoria assolve una triade di compiti: in primo luogo, la decodifica dell’esperienza corretta è disattivata: la persona intuisce che non sarà tradita, che non ci sono gli estremi perché abbia contratto l’aids, che non verrà licenziata per un errore di contabilità, ma non ascolta la sua intuizione, non ascolta se stesso, i suoi aggettivi, cosa gli dice il suo corpo. In secondo luogo non lo fa andare incontro alla vendetta degli Dei, alla cattiveria del Destino che è l’oggetto di transfert implicito di queste fantasie, siccome sta sotto la cappa della fantasia persecutoria nessun genitore immaginario sanzionerà la sua ubris, la sua voglia di vivere.
Infine in terzo luogo, malignamente la fantasia, una volta che sarà comunicata nel modo in cui sarà comunicata porterà gli interlocutori a vestire i panni del genitore sanzionante. La persona a ben vedere cade in una sorta di regressione infantile, parlerà come un bambino che fronteggia qualcosa che non sa gestire, e chiedendo consigli e ossessive rassicurazioni trasformerà l’altro nell’adulto che razionalizza e minimizza ed è un po’ infastidito, proprio come faceva sua madre quando era piccolo. E malignamente più la reazione dell’interlocutore sarà fredda e razionale, più monterà l’agitazione della persona.
Ora bisogna tenere presente che queste idee persecutorie sono una costruzione sintomatica, quindi implicano un comportamento che a conti fatti procura problemi, ma che agli occhi dell’inconscio è una struttura adattiva, è l’unica soluzione percorribile per fronteggiare qualcosa che è letto come un ostacolo e una fonte di allarme. E’ interessante allora constatare il circuito perverso in cui cadono le relazioni in cui questi soggetti sono al centro, specie le relazioni con persone di primaria importanza – come può essere una compagna, o come può diventare anche per questioni di transfert un terapeuta. Se queste persone minimizzano le idee persecutorie che la persona racconta, se razionalizzano e non prendono sul serio il comparto emotivo di cui sono corredate, la persona con il disturbo percepirà un senso di allarme, di insicurezza, una sanzione che potenzieranno lo stato di allarme, e questo lo indurrà a essere ancora più spaventato dalle sue idee persecutorie. L’interlocutore vestirà definitivamente i panni della madre persecutoria e la frittata sarà fatta.
D’altra parte bisogna anche tenere in mente che questo dispostivo per un verso garantisce una qualità della vita molto bassa, ma per un altro rappresenta un fattore omeostatico molto antico, che la persona ha cominciato a utilizzare dall’infanzia, e che non abbandonerà con molta facilità. Si tratta comunque di un sistema che riequilibra e giustifica una profonda percezione di assenza di risorse, di capacità di decodificarsi. Per cui alla fine occorre davvero fare un lavoro importante, che aiuti a debellare il meccanismo e a rafforzare le risorse interne della persona a farlo sentire in diritto di affidarsi alle idee razionali che potrebbero guidarlo nelle scelto a discapito della fantasie complessuali e persecutorie. Per fare questo lavoro non serve quindi soltanto un esercizio di decodifica della funzione omeostatica dell’ossessione, ma serve anche una quota di gradiente affettivo sorvegliato, per garantire alla persona la percezione di un diritto alla cura di se e al premio delle sue intuizioni, che non si è mai riconosciuto. Occorre proprio un lavoro di validazione, che si declinerà poi con il lessico e le scelte di ogni singolo terapeuta.