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  • Memini, volat irreparabile tempus

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Dialogo con San Bruno 123

6 dialogo

Connessione tra canto gregoriano e Spirito Santo.

CG – Prima hai menzionato l’ispirazione dello Spirito Santo nella composizione del canto gregoriano. Come dovrei interpretare questa ispirazione?

SB – Ho appena menzionato la fonte originaria del canto gregoriano: la preghiera dei monaci, il contatto con Dio. Ora, ogni preghiera cristiana implica l’azione, l’influsso dello Spirito: “È lo Spirito che prega dentro di noi con gemiti inesprimibili” (Romani 8:26). Ed è Lui che prega anche nella preghiera cantata della Chiesa.

CG – Puoi raccontarmi come ha proceduto lo Spirito in questo?

SB – Te lo dirò attraverso una spiegazione che danno gli esperti e che probabilmente non hai mai sentito.

Dicono, e mi piace questa opinione, che così come ci sono sempre stati Padri della Chiesa che sono stati apologeti, commentatori dottrinali del Vangelo, dei Salmi e della Sacra Scrittura in generale, che ci hanno lasciato il tesoro inestimabile delle loro opere, cioè la Patrologia, così anche lo Spirito si è compiaciuto di suscitare nella Sua Chiesa una patrologia della preghiera cantata, il cui commento al testo sacro non è letterale ma musicale. È stata questa ispirazione a dare origine alla musica di Dio, alla preghiera cantata, al canto gregoriano, alla musica sacra.

CG – Si sa qualcosa dei loro autori?

SB – Si potrebbe dire che, proprio come Dio vive tra gli uomini senza farsi conoscere “così com’è”, così anche la musica di Dio è apparsa, cresciuta e vissuta senza la presenza di un autore “umano”.

Sappiamo infatti che nella Chiesa romana, l’Archicantore, o primicerio, aveva la missione di dirigere la Schola cantorum papale, ovvero l’esecuzione dei brani da cantare e il dovere di comporre nuovi brani secondo le circostanze. Ma anche i loro nomi venivano tenuti sconosciuti, affinché l’opera fosse interamente dedicata a Dio.

Solo più tardi, con la comparsa dei monasteri basilicali di Roma, apprendiamo che i loro abati erano, per diritto papale, coloro che ricoprivano l’ufficio di Archicantore e, allo stesso tempo, coloro che svolgevano la missione di “insegnanti liturgici della Chiesa romana”. In questo ruolo, erano gli autori dei migliori e più bei brani responsoriali, come scrisse Amalario. Ma, in generale, l’anonimato continuò, poiché, secondo lo stesso autore, conosciamo solo i nomi di quattro di loro:

Giovanni, autore dell'”Ordo Romanus”, e, prima di lui, Cataleno, Mauriano e Viborno.

Come puoi vedere, pochissimi nomi per un tesoro così ricco; e anche di questi nomi, non si sa a quali brani corrisponda…

Sono l’humus monasticus e l’umiltà contemplativa che hanno dato origine alla ricca messe dei canti gregoriani. La messe è stata raccolta dalla Chiesa e depositata nei suoi granai. Con essa, la preghiera liturgica è stata nutrita per secoli.

Nomi e individui sono scomparsi affinché l’ispirazione di Dio potesse rivelarsi più chiaramente. Gli autori si accontentavano di essere commentatori musicali dell’Opera di Dio, maestri e profeti del canto sacro, proprio come i salmisti sono stati maestri e profeti di preghiera nel corso dei secoli, per l’umanità in cerca di Dio. Questa “Patrologia musicale”, che coinvolge molti secoli di monaci contemplativi, costituì il repertorio gregoriano e alimentò la pietà di quella ricca fioritura di Ordini monastici sorti nei secoli XI-XIII, i cui monaci nacquero cantando il canto gregoriano che li aveva preceduti, perché decisero di dedicare la loro vita all’Opera di Dio, donando a Lui il meglio del loro essere: corpo e anima: Quod in homine maximum est linguæ ac mentis officium Auctoris laudibus deputare (Firmico Materno, IV secolo).

Quando Natale è poesia

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Christus natus est nobis

Carissimi cartusiafollower ed amici di questo blog, invio a ciascuno di voi i miei più sinceri auguri di un Natale sereno e gioioso. Ai miei auguri, come di consueto, vi giungano quelli della comunità certosina di Serra San Bruno….

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Le poesie di Natale sono spesso le prime che impariamo da bambini.
Nascono dal desiderio di dire l’indicibile — quel mistero di luce che ogni dicembre torna a farsi vicino — con parole semplici, calde, vere. È il linguaggio dell’infanzia, ma anche quello della fede pura: quella che non spiega, ma si lascia toccare dal miracolo di una nascita. In esse si raccoglie la tenerezza dell’attesa, la semplicità dello stupore, la piccola gioia che diventa preghiera. Da secoli, i versi dedicati al Natale sono un linguaggio dell’anima, spontaneo e sincero, perché parlano non di dottrina ma di cuore: un cuore che si apre alla luce, anche nel silenzio dell’inverno.

In questo giorno ho scelto per voi tre brevi poesie due genuine e un’altra di san Giovanni Paolo II del Natale 1994.
Tra queste voci, quelle dei fratelli conversi certosini possiedono una purezza particolare.
Non sono parole cercate per arte, ma nate da un quotidiano fatto di lavoro, silenzio e fede. In esse il mistero dell’Incarnazione si fa umile e vicino, come un lume che arde in cella, come il lavoro quotidiano o come il pane condiviso nel refettorio.
La loro poesia è preghiera vissuta, un frammento di contemplazione trasformato in parola. In quei versi umili e profondi, il Natale si rivela come un gesto di tenerezza divina — Dio che chiede un abbraccio, l’Amore che si fa bambino tra le mani degli uomini.

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Un giorno Dio sentì il bisogno di essere abbracciato… e divenne un Bambino.

Tutto è cambiato quando Dio si è rannicchiato nel grembo di una Madre, coccolato dalle nostre carezze.

Quando si parla d’amore, l’unica profezia possibile è la sorpresa.

Questo era il Mistero: Dio si inserisce nella tenerezza di un abbraccio.

Un giorno l’Amore Infinito volle battere nel Cuore di un Bambino…ed era più Dio.

Fratello Alien

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Il Bambino è nato per noi nella stalla di Betlemme.

Il mondo è stato scosso dall’ignoranza di così tanto bene.

Cosa darò a questo Bambino se è il proprietario del sole?

Gli offrirò il mio amore cotto nel crogiolo.

Quanto invidio Maria, perché riesce a guardarlo negli occhi e a riempirlo di gioia |

Il Bambino la guardò e i suoi occhi brillarono nel vederla così bella.

Fratello Luis

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Accanto a queste voci monastiche, risuona quella alta e intima di san Giovanni Paolo II, pontefice del nostro tempo. Nei suoi versi, la Natività non è un ricordo lontano, ma un evento che continua a interpellare l’uomo contemporaneo, smarrito tra rumori e incertezze.
La sua parola resta attuale, più che mai: un invito a ritrovare, nel volto del Bambino, la speranza che rinnova la terra e l’anima.

BAMBINO GESÙ, ASCIUGA OGNI LACRIMA!

Giovanni Paolo II

Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!

Accarezza il malato e l’anziano!

Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace!

Invita i popoli, Misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione, dall’ignoranza e dall’indifferenza, dalla discriminazione e dall’intolleranza.

Sei Tu, Divino Bambino di Betlemme, che ci salvi liberandoci dal peccato.

Sei Tu il vero e unico Salvatore, che l’umanità spesso cerca i tentacoli.

Dio della pace, dono di pace per l’intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.

Sei Tu la nostra Pace e la nostra gioia!

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In questo Santo Natale, lasciamoci guidare da queste parole: umili e genuine come quelle dei fratelli conversi, alte e universali come quelle di Giovanni Paolo II.
Che possano ispirare il nostro cuore a scorgere la luce anche nel silenzio, ad aprire le mani e gli abbracci, e a riconoscere, in ogni piccolo gesto di amore, la presenza di Colui che nasce ancora oggi tra noi.

Dialogo con San Bruno 122

6 dialogo

Sul canto e la contemplazione.

CG – Non sarà difficile armonizzare musica e contemplazione?

SB – No, se, come ho detto prima, rimani sotto l’influenza dello Spirito.

Perché, oltre la musica, si trova il mondo interiore, e la forza dell’anima, aiutata dalla grazia, supera ogni forma e ogni potere attrattivo della musica. Qui, non è la musica a comandare, ma l’anima a darle vita e direzione.

Nella preghiera cantata, c’è una misteriosa comunione tra chi canta e chi contempla e proclama nel canto. Pertanto, la musica sacra, come ogni preghiera, è anche ricerca e incontro, richiesta e accoglienza, un uscire da sé e entrare in Dio. In questo, precisamente, risiede la grazia del canto gregoriano: è totalmente per Dio, per la Sua gloria, per la lode della Sua grazia e l’onore del Suo Nome. Questo è ciò che cerca il cantore, non il proprio diletto, la propria vanagloria. Il monaco canterà sempre: “Gloria a Dio in cielo!”; non canterà mai: “Gloria al cantore quaggiù per il bene che fa!”.

Dio fa cantare il cantore con il suo corpo e con la sua anima. E così, ogni essere umano, ogni persona, è in uno stato di preghiera e canto.

CG – Non è quindi una questione di prestigio…

SB – Vede, non lo è. La musica sacra non è scritta o eseguita per il pubblico, per l’effetto esterno, per l’atmosfera e gli applausi. È musica dell’anima e per l’anima, non per i sensi. Solo per Dio.

Nella preghiera cantata, l’intero essere del monaco non può fare altro che cantare con tutto l’organismo che Dio gli ha dato, corpo e anima, e con entrambi lodare il Signore di entrambi: “Cantabo tibi, Domine, omnibus diebus vitæ”.

Tutta l’arte e la bellezza del canto gregoriano non sono nulla senza la preghiera e il misticismo del cantore.

CG – Qual è il nostro primo dovere nei confronti del canto sacro?

SB – Preservarlo e viverlo. Il canto gregoriano è nato nei monasteri, è cresciuto sotto l’influsso di Dio e, per la benevolenza di Dio, è diventato musica di Dio.

Nato nei monasteri, vive lì, è lì che viene sentito e coltivato con amore, come un bene proprio (fa parte della “nostra tradizione e eredità”, come ho detto prima); senza angosciarsi per la mancanza di comprensione delle persone del mondo e senza sorprendersi per la mancanza di amore che hanno per esso oggi. E queste persone non si sorprendono di questo, perché la mancanza di comprensione deriva dalla mancanza di preghiera e dal materialismo in cui vivono immerse. La materia non comprende le cose dello spirito, nemmeno la musica sacra. Ma, nonostante ciò che il mondo possa pensare e dire della musica di Dio, i monaci continuano a cantare questa preghiera, giorno e notte, per tutto l’anno, per tutta la vita, come principianti desiderosi di progredire nella loro conoscenza, di accrescere la loro esperienza, sapendo che ciò conduce a Dio e che Lui è il loro Maestro principale.

Ti ho detto che la preghiera era la fonte originaria del canto gregoriano e, pertanto, è privilegio e specialità dei monaci, nati per la preghiera. Sì, il canto gregoriano è nato dal contatto con Dio. Senza l’azione efficace di Dio, non sarebbe sopravvissuto.

Testimonianza: Vocazione e gratitudine

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Ci sono parole che nascono dal silenzio, e proprio per questo custodiscono un peso d’eternità. La testimonianza che segue è una di queste: semplice e luminosa, giunge dal cuore di una vita donata alla Certosa. In essa si intrecciano il richiamo al silenzio, la fatica della conversione interiore e la gioia di una libertà ritrovata nello Spirito. Una voce discreta, ma profondamente vera, che ci invita a contemplare la grazia di un cammino nascosto con Cristo, in Dio.

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Ho sentito la chiamata alla Certosa nel mezzo della mia vita attiva, esposta a ogni tipo di influenza. Era una chiamata al silenzio della Certosa e a una vita nascosta con Cristo, in Dio. Entrando in Certosa, portavo con me la voce vibrante dei poveri e della Chiesa che avevo servito, ma anche l’irruenza di un temperamento forte che vuole intervenire anche senza essere interpellato, e una tendenza a giudicare secondo un criterio umano e non religioso. A poco a poco è iniziata la mia conversione alla vita monastica e alla vocazione di suora donata che i miei superiori avevano scelto per me. Ho accettato questa scelta come volontà di Dio. Lo Spirito Santo, che è essenzialmente Amore e Dono, ha illuminato interiormente il mio servizio alla comunità. In questo atteggiamento di obbedienza ho raggiunto la libertà e la liberazione da me stessa e ho trovato una pienezza di vita interiore e attiva. Anche la lettura della Bibbia è stata importante per me per trovare questa libertà. Attingere ogni mattina alla fonte della Parola di Dio mi ha dato gioia ed energia. Certo, il silenzio che mi aveva chiamato non ha tardato a farmi capire quanto sia difficile, e a volte persino impossibile, osservarlo. Arrivando in cella dopo i Vespri, la solitudine mi pesava e a volte mi faceva male a causa della mia natura estroversa, che anela alla comunicazione. Non so come, ma la Grazia è intervenuta e ha attenuato le difficoltà e le tensioni. La grazia della preghiera supera lentamente i gravi limiti della mia natura, conducendomi verso una più ampia dilatazione del mio cuore, così da abbracciare la Chiesa universale e la piccola Chiesa presente nella mia comunità. Sono veramente grato alla mia comunità. Senza di essa non sono nulla. Con essa partecipo a una potenza divina. Pur essendo piccola, con risorse scarse e molte limitazioni, la mia comunità ha la forza di una preghiera perseverante, e per questo è posta nel cuore della Chiesa e nel cuore di Dio. Che il Signore benedica la mia comunità e la famiglia certosina su cui ha innestato la mia vita.

“SONO VERAMENTE GRATA ALLA MIA COMUNITÀ”.

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Dom Clair de Fontenay

per priori generali

De Fontenay nacque in Francia; dirigeva saggiamente la Certosa di Parigi quando fu chiamato a governare l’Ordine. Uomo notevole per la sua conoscenza, la sua erudizione e il suo amore per le lettere, seppe dare una nobile direzione agli studi dei suoi religiosi. “Era”, riferisce uno dei suoi biografi, “dotato di tale conoscenza e dottrina che si diceva comunemente di lui che fosse il secondo chierico del mondo”. La sua pietà era superata solo dalla sua umiltà; così pregò a lungo il Capitolo Generale di accettare le sue dimissioni. Questa consolazione gli fu concessa nel 1336. Aveva governato l’Ordine per quasi sei anni. La sua morte, preziosa davanti al Signore, sopraggiunse tre anni dopo, nel 1339.

Cartusiavox: Nell’anima della Certosa di San Martino. Il Presepe Cuciniello

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Con questa puntata, CartusiaVox chiude il suo primo grande percorso: quello dedicato al libro “Nell’anima della Certosa di San Martino”.
Un viaggio durato sette mesi, tra chiostri e silenzi, memorie e presenze, in compagnia delle voci di chi ha amato e raccontato questo luogo come uno scrigno vivo di storia e spiritualità.

Il nostro cammino si conclude davanti a una scena che, più di ogni altra, racchiude il mistero dell’incarnazione e della continuità: il Presepe Cuciniello. Un’opera nata dalla devozione di Michele Cuciniello e giunta alla Certosa di San Martino nel 1879, a testimoniare come l’arte popolare napoletana possa farsi teologia visiva, racconto sacro e umano insieme. È uno dei presepi più famosi al mondo, meta di visitatori che arrivano sempre numerosi al Museo di San Martino per ammirare questo simbolo della tradizione napoletana.
Accanto al presepe, si spegne l’eco dei passi dei certosini, costretti a lasciare il monastero dopo la soppressione del 1866. Ma nel silenzio delle celle e nella quiete dei chiostri rimane intatto ciò che non può essere confiscato: lo spirito della Certosa, che continua a parlare attraverso la bellezza e la memoria.

Con questo episodio salutiamo i nostri ascoltatori, con gratitudine e con un pensiero di luce.
Il mese di dicembre ci invita alla contemplazione e al dono: se desiderate portare con voi un frammento di questo cammino, “Nell’anima della Certosa di San Martino” può essere un dono prezioso — da regalare o regalarsi — per ritrovare, tra le pagine, la voce silenziosa di un luogo che non smette di raccontarsi.

Grazie per aver camminato con noi.
Che il Natale vi trovi in ascolto… di quella voce che parla ancora nel cuore della Certosa.

In questa puntata le domande di Giulio Cappello, le letture di Nunzia Giordano e le risposte di Roberto Sabatinelli, ed Alberto Francesco Sanci autori del libro, ripercorriamo l’arrivo del Presepe alla Certosa, la sua storia, la sua sistemazione e l’inaugurazione, ma anche il destino degli ultimi monaci che abitarono quel luogo di silenzio e preghiera.

Ascolta ora l’episodio completo:

Dialogo con san Bruno 121

6 dialogo

Ancora sul canto…

CG – Padre, il canto gregoriano è brillante ma difficile, e dobbiamo penetrare il segreto della sua ispirazione.

SB – È vero. E questo segreto risiede in Dio, nella Sua creazione, nell’essere umano che ha creato, nel suo ambiente, nelle condizioni in cui vive e cerca Dio.

Il canto gregoriano non è musica profana, né tantomeno la musica di una singola persona. Tutti riconoscono la purezza di questo canto e l’impressione di raccoglimento, pace, devozione, serenità e interiorità che produce. La causa di questo risultato non risiede nel singolo compositore, ma in una forma di canto nata dalla preghiera, cioè da un contatto vivo e prolungato con Dio. In ciò risiede il segreto della sua ineguagliabile ispirazione.

Per secoli e secoli, monaci e monache hanno pregato, cantando queste melodie durante l’Anno Liturgico. E hanno sempre percepito la purezza di questa antica novità e la rinnovata novità dei migliori sentimenti dell’anima che canta unita a Dio. Perché, sotto l’influsso dello Spirito Santo, queste melodie semplici e modeste hanno cominciato ad apparire, senza pretese umane, esprimendo i pensieri più elevati e incantando le anime contemplative. “Il canto è proprio di chi ama”, e quale amante migliore di un’anima veramente contemplativa? Non c’è, quindi, nulla di straordinario nel fatto che il canto gregoriano sia stato, fin dall’inizio, “il pane dell’anima contemplativa e il nutrimento sostanziale della preghiera liturgica, ispirata da Dio”. Per una preghiera animata da Dio, un canto ispirato da Lui.

CG – È davvero un tesoro ammirevole.

SB – E lo è, in tutta verità, perché la musica sacra, essendo interamente rivolta a Dio e convertita in preghiera, e persino in contemplazione, “deve esprimere, come vi disse Pio X, con dignità e dolcezza i segreti divini e i fiumi di grazia che sono contenuti e rappresentati nella sacra Liturgia.

Deve far sì che l’anima, sposa di Gesù Cristo, inebriata di questo nettare celeste e piena di entusiasmo, prorompa in atti di gioia, cantando con grazia e con cuore grato la grandezza e la munificenza del Signore. Oppure, mossa dallo spirito di comunicazione, implori la divina misericordia e plachi la giustizia dell’Onnipotente con accorati atti di pentimento e di penitenza.

Pertanto, la musica propria della Chiesa deve essere PREGHIERA e allo stesso tempo MEZZO per accrescere il fervore dello Spirito Santo nei nostri cuori. Musica che, provenendo dal profondo del cuore, lo conduce e lo eleva dolcemente al Cielo” (Pio X).

CG – Cosa si può fare per sperimentare questa ricchezza spirituale?

SB – Canta le lodi di Dio e cerca e prova a scoprire il sacramento divino contenuto nel testo di ogni brano musicale. Il testo è la cosa principale e la prima cosa che devi vedere, afferrare e comprendere. Ogni testo è un messaggio che Dio ti invia, e devi coglierne il contenuto. Solo allora sarai in grado di cantarlo con anima e significato.

Per fare questo, non c’è niente di meglio che mettersi sempre sotto l’azione immediata dello Spirito Santo, chiedendoGli di pregare dentro di te (cantare è preghiera!), con il cuore e con la voce, la preghiera che Lui stesso ti offre nel testo e nella melodia. Se lo fai, Lui ti renderà partecipe di ogni brano sia dal lato del contemplativo che da quello del musicista, anch’egli ispirato da Lui. Il musicista, infatti, offre arte e poesia, ma le indirizza alla contemplazione di Dio, che vuole aiutare attraverso la musica.

Ma, come sai, non c’è vera contemplazione se non quando l’anima penetra oltre la musica. Questo, ripeto, favorisce il volo della preghiera, che la parola divina che costituisce il testo vi presenta. Pertanto, nel canto gregoriano, non si è sotto il dominio dell’intelletto, ma sotto il dominio della fede. Lungo questo oscuro cammino, la musica vi conduce verso il misticismo, verso l’unione con Dio, che amate e al quale cantate, Dio presente in voi e nella parola che cantate.

Il dolce del silenzio: il Panspeziale dei Certosini

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Il dolce del silenzio: il Panspeziale dei Certosini

(PUNTATA SPECIALE PER NATALE)

C’è un profumo che annuncia il Natale più di ogni altro: quello del Panspeziale, o Certosino di Bologna, nato secoli fa tra le mura della Certosa.

Nelle antiche spezierie della Certosa di Bologna nacque uno dei dolci più simbolici del Natale: il Panspeziale, poi chiamato Certosino.
Compatto, profumato, carico di miele e spezie, era il dono che i monaci certosini preparavano con pazienza con settimane d’anticipo, lasciando che il tempo ne affinasse i sapori.

Dal 1740 è documentato che un grande “pane certosino” partisse ogni anno dalla Certosa di Bologna per giungere a Roma, come omaggio a papa Benedetto XIV, Prospero Lambertini, bolognese di nascita.

Oggi, questo dolce conserva l’anima della lentezza: si prepara in tre giorni e si gusta dopo un lungo riposo. Più invecchia, più diventa buono — come le cose che crescono nel silenzio.

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La ricetta che condividiamo oggi non fa parte del libro “Sapientia et Sapores“, ma è un piccolo cadeau natalizio per i nostri lettori: un modo per dire grazie, e per custodire ancora un po’ di quella sapienza che profuma di miele e clausura. Ed a voi amici, per chi non avesse ancora scelto di leggere questo libro vi invito ad acquistarlo o perchè no a… regalarlo per il prossimo Natale, al link di Amazon indicato.

Ascolta ora l’episodio completo:

La cella come Paradiso

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Nel “Liber de quadripartito exercitio cellae” (1190), Dom Adamo Scoto descrive con immagini di straordinaria forza poetica la vita del monaco certosino: quattro “bracci di fiume” che irrigano il giardino dell’anima, quattro esercizi che custodiscono il silenzio della cella e lo trasformano in un luogo fecondo.

Queste parole, nate in un chiostro medievale, oggi ci parlano con sorprendente urgenza. Anche noi abitiamo spazi che chiamano alla concentrazione: un angolo di casa, il tragitto quotidiano, un tempo sottratto al rumore dei dispositivi digitali. In fondo, la “cella” non è solo un luogo fisico ma un atteggiamento interiore: lo spazio che decidiamo di dedicare a ciò che nutre l’anima. Così, i quattro bracci del fiume che Dom Adamo vide nel Paradiso possono ancora oggi irrigare le giornate di chi cerca radici nel frastuono del mondo. Rileggere il suo testo non significa voltarsi nostalgicamente al passato, ma accogliere un invito sempre vivo: fare spazio al silenzio, ritrovare l’unità tra mente, cuore e mani, e lasciare che il tempo ordinario torni a essere fecondo. Vi lascio alla lettura ed alla attenta meditazione del testo.

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I quattro esercizi che devono essere praticati assiduamente da chi vuole portare frutto rimanendo in cella.
Vediamo nei quattro bracci del fiume che bagna il paradiso, i quattro esercizi di religione che costituiscono l’essenza dell’Ordine. Sono le letture della Scrittura, la meditazione, la preghiera silenziosa, il lavoro manuale. Dei quattro, il più importante è la preghiera. Ogni volta che non siamo soggetti alle esigenze del corpo (a cui rimaniamo costretti finché restiamo quaggiù), dobbiamo tornare a uno di questi quattro esercizi e dedicarci ad esso con fervore. È necessario per la lettura della Scrittura: comprendere bene e ricordare; per la meditazione: che non sia oscurata dal fumo delle fantasticherie, ma illuminata dai fuochi della verità; allo stesso modo, la preghiera deve essere infiammata da un desiderio sincero e purissimo del cielo, che sia essa stessa pura, incrollabile, sincera e ardente, irrigata dalle lacrime della pietà. Che l’opera sia senza tiepidezza né pigrizia, senza disordine né mormorazione, trascendendo tutto ciò che impedisce, che non sia colpita dalla calamità della cattiva volontà di alcuno, ma al contrario, che ci si abbandoni ad essa con un’applicazione molto generosa, con entusiasmo e gioia, con energia, facendo tutto ciò che possiamo per farla riuscire.

Gratitudine e vigilanza per l’Immacolata

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Nella vita monastica, come in quella di ogni credente, il cammino non è mai lineare: tentazioni, scoraggiamenti e invidie si intrecciano con la grazia, mettendo alla prova la fedeltà. La storia che segue, ambientata in una Certosa tedesca, ci ricorda come la presenza silenziosa della Vergine Maria non abbandoni mai i suoi figli, neppure nei momenti di smarrimento più profondo. Un giovane novizio e lo stesso priore sperimentano in modi diversi la consolazione materna di Colei che veglia su ogni cella certosina: la Madonna, che corregge, sostiene e guida con misericordia. È una pagina che invita all’umiltà e alla fiducia, ricordandoci che i favori straordinari non sono premi, ma rimedi offerti da Dio secondo il bisogno di ciascuno.

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In una Certosa della Germania, in un giorno di festa, il Priore aveva concesso la consueta ricreazione ai novizi ed era andato lui stesso a raggiungerli. Poiché quella mattina aveva predicato sulle grazie straordinarie che riceviamo da Dio, invitò i religiosi a raccontare quali favori avessero ricevuto. L’ultimo novizio, con grande semplicità, raccontò la seguente storia:

«Poiché all’inizio del mio noviziato – racconta – fui assalito da tentazioni violente, ripresi i miei abiti secolari per ritornare nel mondo. Prima di lasciare però la cella, mi sono inginocchiato un momento davanti alla statua della Madonna, che è in ogni cella di certosino, e le ho fatto una breve preghiera, protestando che era solo per pura necessità che me ne andavo, poiché le prove da cui fui sopraffatto fece capire chiaramente che non dovevo restare nel chiostro. Allora la Madonna sembrò rivolgersi a me con la massima gentilezza, e mi disse che queste prove non erano altro che un effetto della misericordia di Dio, destinata ad accrescere il mio merito; e che avrei fatto la volontà di Dio rimanendo nello stato santo che avevo abbracciato. Da quel momento non ho più dovuto subire alcuna tentazione del genere».

Quando il Priore udì questa storia, non riuscì a trattenere un sentimento di invidia. “Che cosa”! pensò: “ecco un novizio, da soli sei mesi nell’Ordine, e ha già avuto una visione della Madre di Dio. E io… L’ho servita al meglio delle mie capacità per così tanti anni e non ho mai ricevuto un favore del genere”. Questo risentimento divenne così amaro che alcuni mesi dopo decise di lasciare l’Ordine. Chiese dunque al frate Sarto degli abiti secolari, li indossò quando venne la sera e si avviò verso la porta del monastero. Non poteva però varcare la soglia senza inginocchiarsi un momento davanti all’altare della Madonna della Compassione, che si trovava nel coro dei Fratelli.

Mentre era lì, gli apparve la sua Madre celeste, nella sua clemenza, che lo rimproverò per ciò che intendeva fare, dicendogli che non aveva alcuna giustificazione per il suo gesto. Il suo novizio, infatti, aveva bisogno di una visione che lo consolasse e lo fortificasse contro le prove interiori che superavano le sue forze. Lui, al contrario, non aveva avuto altro che consolazioni spirituali dal momento in cui era entrato nella religione. Perché, allora, avrebbe dovuto aver bisogno di favori straordinari?

Il sedicente fuggitivo si umiliò sotto il materno ammonimento, e pieno di gratitudine verso colei che, donandoglielo, gli aveva appena salvato l’anima da un sì terribile pericolo, si prostrò e si assorbì in una preghiera di ringraziamento, che continuava fino a notte fonda, tanto che alla fine fu sopraffatto dal sonno. Il Procuratore, e i Fratelli con lui, arrivarono a tempo debito per il Mattutino, e trovarono il loro Priore prostrato a terra, vestito da secolare. Lo svegliarono e, quando rinvenne, insistette per presiedere l’Ufficio vestito com’era. Poi, conducendo la comunità alla sala capitolare, si inginocchiò davanti a tutti e confessò la sua colpa, e raccontò il notevole favore che lo aveva indotto ad abbandonare il suo proposito.

«Pertanto, chi pensa di stare in piedi, stia attento a non cadere» (1 Cor 10,12).

Nel giorno in cui contempliamo l’Immacolata Concezione, questa vicenda certosina ci invita a rinnovare la fiducia filiale in Maria. Ella, preservata da ogni macchia di peccato, è per noi rifugio sicuro nelle prove e madre vigilante che non si stanca di richiamarci alla fedeltà. Mettiamo sotto il suo manto i nostri voti, i nostri propositi e le nostre fragilità: la sua purezza senza ombra è la garanzia della nostra speranza. Affidiamo i nostri voti alla custodia della Madonna e supplichiamola di ottenerci le grazie che faranno fruttificare la sua materna vigilanza.

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