Pubblicato da: luigivassallo | 26 dicembre 2025

Le confessioni della Befana

Sono proprio vecchia e brutta, eppure in tanti mi aspettano ogni anno. Ci sono tanti vecchi al mondo, magari meno brutti o anche più brutti di me, eppure nessuno li aspetta. Perché aspettano me? o forse aspettano solo quello che io porto in regalo?

Se tutti i vecchi del mondo avessero doni da regalare, sarebbero tutti accolti con simpatia.

Pubblicato da: luigivassallo | 13 dicembre 2025

Il prodigio della cometa

Nell’anno del Signore 3000 avvennero fatti prodigiosi che i cronisti dell’epoca tramandarono con video diffusi via internet: i video erano fatti di audio e immagini, con pochi scritti perché erano rimasti in pochi a saper leggere.

Quei video parlano di una cometa che comparve all’improvviso nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio e che avrebbe provocato strani fenomeni. Si diceva che dai presepi nelle case erano cadute a terra tutte le statuine, tranne quella del Bambinello che se ne era rimasta sola nella stalla. E ancora che gli alberi di Natale erano stramazzati sui pavimenti con tutti i loro addobbi. Ma la cosa più portentosa che venne raccontata si verificò il 1° gennaio del nuovo anno.

Già dall’alba di quel nuovo giorno del nuovo anno processioni di umani si misero in cammino. Si videro soldati che fino al giorno prima si sparavano addosso gettare le armi e andare incontro ai nemici per abbracciarsi. Si videro i tecnici addetti al controllo degli arsenali nucleari sabotare gli impianti per renderli inutilizzabili. Si videro miliardari, che si erano arricchiti con spregiudicate operazioni finanziarie, liberarsi delle proprie ricchezze andando a versare incredibili assegni a beneficio delle Associazioni che si prendevano cura dei poveri. Si videro governanti inginocchiarsi nelle piazze più importanti del loro Paese per chiedere perdono ai loro governati per le bugie che avevano raccontato, per le promesse elettorali che avevano tradite, per i favori che avevano garantito ai ricchi a danno dei poveri e della maggioranza del popolo. Si videro quelli, che avevano negato il rischio di catastrofi climatiche pur di continuare a trarre profitti dalle loro attività inquinanti, pretendere che i governi adottassero immediatamente misure efficaci a difesa dell’ambiente. Si videro quelli, che avevano parlato contro i giudici che si permettevano di controllare se le loro azioni in politica ed economia fossero rispettose della giustizia, entrare nei tribunali col capo coperto di cenere, a chiedere perdono ai giudici. Si videro quelli, che avevano preteso di essere venerati come messaggeri divini, sposgliarsi delle loro pretese per mescolarsi ai cittadini comuni oppure restare soli con la folla, che una volta li applaudiva e li osannava, che ora voltava loro le spalle. Si videro quelli, che avevano invocato muri e blocchi navali contro i disperati del mondo che bussavano alle porte di chi stava meglio, spalancare le loro case ad accogliere i diperati che continuavano ad arrivare.

Fuori di queste processioni restarono pochi, che testardamente volevano ancora imporre agi altri le loro ragioni, ma ormai nessuno li ascoltava più e potevano parlarsi solo tra loro, scambiandosi il rancore e la rabbia per come all’improvviso il mondo era andato sotto sopra.

Pubblicato da: luigivassallo | 8 dicembre 2025

E venne a dirmi addio

DALLE  MEMORIE DEL CANE OTTO 

E VENNE A DIRMI ADDIO 

Non conoscevo il suo nome. Qualche volta mi era sembrato che parlassero di lui gli esseri a due zampe in mezzo ai quali vivo.

Ma conoscevo bene la sua sagoma, contro la quale abbaiavo ogni volta che lo vedevo e anche quando non lo vedevo se solo ne percepivo l’ odore. Lui dava segno di non scomporsi e di snobbarmi; però si teneva a distanza, al sicuro dietro la cancellata del suo giardino.

Ma quella mattina per la prima volta entrò nel mio giardino passando attraverso le sbarre della cancellata e venne fino alla porta a vetri della mia casa. Io ero dentro e lui fuori. Io non abbaiai contro di lui e lui non indietreggiò. Ci guardammo a lungo e ci dicemmo tutto, senza parole, come solo noi animali  sappiamo fare.

Poi andò via e non lo vidi più. Nessuno lo vide più.

Pubblicato da: luigivassallo | 8 novembre 2025

Lememorie del cane Otto – La brioche

A volte la mattina i miei padroni escono di casa e mi lasciano nel giardino. Dopo un po’ tornano e di solito mi portano una bella sorpresa. Riaprono la porta del giardino e prima Luigi (che è il marito della padrona), poi la padrona mi danno ognuno due pezzetti di brioche.

Quando Luigi sta per darmi i suoi pezzetti, io mi allungo sulla tavola per prendermeli subito dalla carta. Invece, quando è il turno della padrona, aspetto rispettosamente stando seduto che lei me li porga. Il fatto è che io considero Luigi un mio pari, perché tutt’edue obbediamo alla medesima padrona.t

Pubblicato da: luigivassallo | 19 settembre 2025

Caffè

Caffè

Benché oggi la parola e la bevanda facciano parte quasi insostituibile della nostra vita, il caffè non è autoctono, ma viene dall’Oriente, dalla cultura turca o araba. La prima volta che se ne è parlato in Italia e in Europa questa strana bevanda bollente non si chiamava caffè ma caveé: con questo nome la descriveva ai suoi concittadini nel 1585 l’ambasciatore veneto Morosini.

Solo nel Settecento, però, la moda del caffè si diffonde con la nascita di botteghe del caffè, che sono dei circoli in cui nobili e borghesi si ritrovano per gustare la bevanda e per chiacchierare del più o del meno. “Il caffé” finisce col diventare anche il titolo di una rivista letteraria, fondata dai fratelli Verri, peroprio perché si ispirava alla pratica delle discussioni che avvenivano nelle botteghe del caffè. Infine dalla Francia arriva nell’Ottocento anche la moda dei caffè-concerto, localli dedicati all’ascolto della musica e al ballo.

Così i tempi sono ormai maturi perché questa strana e straniera bevanda possa mettere radici nelle nostre abitudini personali e sociali. E diventano patrimonio nazionale la colazione mai priva di caffè, la pausa caffè, il coffee breack nei convegni, il ritornello pubblicitario “il caffè è un piacere; se non è buono che piacere è?”, il “caffè sospeso” a Napoli cioè un caffè pagato prima per chi non se lo può permettere e chiede nel bar se c’è un caffè già pagato, la rinuncia al caffè dopo cena “perché il caffè non mi fa dormire”…

Pubblicato da: luigivassallo | 9 settembre 2025

Spigolature Alfabetiche

A

ACQUA

Dal latino AQUA, come i suoi derivati “acquatico” “acquoso” ecc. In greco si dice YDOR, da cui i nostri derivati come “idrico”.

Siamo fatti in gran parte di acqua. Acqua per bere. Acqua per lavare il nostro corpo, i panni, le strade, i pavimenti, i vetri delle finestre ecc.

Referendum sull’acqua pubblica, vinto e poi “svuotato” da nuovi provvedimenti parlamentari.

L’ acqua principio di tutte le cose.

L’ acqua come possibile causa di guerre future.

B

BELLO

o

BRUTTO

C’è un BELLO (o un BRUTTO) assoluto, valido per chiunque? O c’è un BELLO o un BRUTTO relativo, che vale a seconda dello schema culturale o mentale di ognuno di noi?

È bello solo ciò che ci piace? È brutto solo ciò che non ci piace?

È possibile un bello che non sia anche bene? È possibile un bello del male?

Per Platone BELLO e BENE sono la stessa cosa perché la loro idea esprime l’essenza di come le cose e il mondo dovrebbero essere.
Poi, certo, la realtà empirica, quella in cui viviamo, non sempre è come dovrebbe essere.

C

CAPIRE

o COMPRENDERE

CAPIRE cioè riconoscere il significato di una parola o di una frase. Non capisco una lingua che non conosco, ma può darsi che io non capisca perché, anche se si tratta di una lingua che conosco, quel modo di dire non appartiene al mio vocabolario.

COMPRENDERE è più che CAPIRE, perché va oltre il significato delle parole ed esplora il senso per cui quella parola o frase è stata pronunciata o scritta e quale sia il pensiero di chi l’ ha pronunciata o scritta.

CAPIRE dal latino capere che significa prendere, afferrare.

COMPRENDERE dal latino cum + prehendere = stringere, legare, unire

cioè “afferrare l’ insieme del significato e farlo mio”.

D

DEBITO

In un rendiconto economico i debiti indicano la realtà di spese al di sopra delle proprie entrate.

Chi, per difficoltà economiche della propria attività, finisce nelle mani di un usuraio e si dissangua per un debito che cresce all’ infinito.

Chi, per come viene pagato il suo lavoro, non arriva a fine mese e si affida alla “bontà” del bottegaio che gli fa credito.

E poi ci sono Paesi che, nei rapporti commerciali con altri Paesi, continuano a pagare debiti e sono costretti a comprare prodotti per i quali i produttori hanno usato materie prime acquistate a prezzi stracciati dai Paesi debitori.

Così, ripensando la Storia del colonialismo di ieri e di oggi, ci spieghiamo perché i colonizzatori imponevano ai colonizzati la monocoltura e perché ancora oggi impongono il monopolio del commercio delle materie prime.

E

ERA

Parola omografa (si scrive uguale a un’ altra) e omofona (si pronuncia uguale a un’ altra) ma con significato diverso.

ERA (in latino Giunone): nella mitologia greca moglie del dio supremo Zeus (in latino Giove). Molto gelosa del marito e pronta a vendette feroci. Ne aveva ben motivo, dato che Zeus la riempiva di corna con dee e donne mortali.

ERA nel significato di epoca. Un’era geologica per ricostruire il passato della Terra. L’ era dei Giganti nella ricostruzione mitologica del passato dell’ umanità.

ERA, imperfetto del verbo essere, per rievocare un’ azione passata che, almeno nel ricordo, ci resta ancora vicina.

Era il maggio odoroso e la nostalgia di Silvia diventa in Leopardi nostalgia delle illusioni giovanili. 

F

FIUME

Un fiume di lacrime: nel mondo sono tanti costretti a piangere e alcuni le loro lacrime le hanno consumate tutte.

Un fiume di parole: perché vogliamo incantare gli ascoltatori o perché non siamo capaci di sintetizzare efficacemente il nostro pensiero in poche battute o perché riempiamo di parole il vuoto della nostra mente.

Un fiume che scorre placido suggerendo visioni idilliache. Un fiume che rompe gli argini suggerendo angosce e paure.

Il fiume nel quale non ci si può bagnare due volte, perché l’ acqua scorre incessantemente. Anzi, a pensarci bene, non ci si può bagnare nemmeno una volta, perché, quando il nostro piede entra nell’ acqua, questa è già scorsa in giù.

Il fiume delle manifestazioni operaie di una volta.

Il fiume di quelli che si mettono in fila per una pasto o un posto letto alla Caritas.

G

GIOCARE

Giocare con carte truccate cioè cercare di vincere imbrogliando.

Giocarsi le proprie possibilità cioè utilizzare le proprie capacità e  risorse per affrontare una situazione come fosse una partita.

Giocarsi il tutto per tutto cioè puntare quello che si ha (che siano soldi o capacità fisiche o psichiche) dicendosi “O la va o la spacca”.

Giocare una parte non propria cioè fingere di essere quello che non si è.

Da bambini giocavamo alla guerra. Oggi vediamo altri bambini che di guerra muoiono ogni giorno. 

H

HO


E quando vi presenterete al mio giudizio, sicuri prr l’incenso che avete bruciato alle mie statue, allora io dirò:

HO avuto fame e non mi avete dato da mangiare.

HO avuto sete e non mi avete dato da bere.

HO rischiato di annegare per venire da voi, ma, quando ho bussato alla vostra casa, avete sprangato la porta.

HO sudato per pochi centesimi nei campi dei vostri amici e voi avete mangiato il mio raccolto mentre la mia famiglia moriva di fame.

HO visto i miei compagni morire sul lavoro e voi avete detto che era una disgrazia.
HO visto bambini morire di guerra e voi discutevate se era o no genocidio.

HO visto vecchi aspettare per anni una radiografia e voi avete creduto ai vostri governanti che dicevano che andava tutto bene.

Ora io vi dico: riprendetevi il vostro incenso. 

I

IO

Io sono, io voglio, io posso ecc.
Ma IO chi? Chi è veramente IO che si autoproclama soggetto di azioni come essere, volere, potere ecc.?

A livello biologico IO è un’ interazione di un numero sterminato di cellule e di neuroni che, agendo in sinergia tra loro, garantiscono il funzionamento del corpo e dei suoi organi. Questo sono io a livello biologico, una sorta di collettività o, meglio, di orchestra che esegue uno spartito inscritto nel mio DNA, sotto la direzione del cervello che coordina cellule e neuroni.

A livello culturale e sociale IO è il prodotto di una storia di relazioni con altri IO, che comincia nella famiglia di origine e continua nella scuola, nelle associazioni, nel gruppo di compagni di gioco o di marachelle e, poi, nei luoghi di lavoro ecc.

Dal punto di vista culturale IO sono il prodotto di questa storia di relazioni, nella quale non sono stato passivo ricettore di stimoli ma ho reagito ad essi contribuendo a costruire ulteriori intrecci e varianti di relazioni. Proprio la mia reazione agli stimoli spiega perché due Io possono pervenire a manifestazioni culturali e sociali diverse, pur avendo vissuto situazioni relazionali simili. 

L

LAVORO

Chi lavora per necessità, altrimenti non avrebbe da mangiare.

Chi lavora con soddisfazione perché ha trovato un lavoro che lo gratifica.

Per alcuni il lavoro è fatica: una sfumatura già presente nel latino LABORARE.

C’è chi muore di lavoro: incidente? distrazione? incuria? mancata osservanza delle regole di sicurezza? ritmi di lavoro funzionali solo al profitto?

Ora et labora: le comunità monastiche del medioevo ponevano le basi per un capitalismo non privo di valori.  Allo stesso modo, secondo Max Weber, l’ etica protestante è all’ origine del capitalismo.

L’ Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1 Costituzione): solo sulla carta?

M

Martire

Martire, dal greco MARTYR, significa testimone: testimone di una fede, di un’ idea ecc., disposto a pagare anche con la vita questa sua testimonianza di fedeltà.

Ci possono essere martiri inconsapevoli (che non hanno scelto di testimoniare). Ad esempio le donne, i vecchi e i bambini massacrati nelle stragi degli anni 1943-1945, volute dai nazisti e da loro eseguite con la complicità dei fascisti.

Quei “martiri”, con i loro corpi crivellati dai proiettili o squarciati dalle bombe a mano o bruciati con i lanciafiamme, non testimoniano una fedeltà ad un’ idea politica che forse non avevano, ma sono ugualmente “martiri” perché testimoniano l’aberrazione disumana incarnata in quegli anni dal nazismo e dal fascismo e riprodotta oggi sotto altre coperture ideologiche. 

N

NECESSARIO

Necessario per vivere. Cosa è indispensabile per tenere in vita il corpo? Cosa è indispensabile per tenere in vita la mente? Cosa è indispensabile per tenere in vita lo spirito?

Basta mangiare per essere vivi?
Basta che un governo tenga a bada tasse e inflazione perché assolva al suo dovere di farsi carico dei cittadini?

Panem et circenses o anche diritti per essere cittadini a pieno titolo e non sudditi? 

O

OPPORTUNO

Non è opportuno che si concedano troppe libertà ai ragazzi. Oppure è opportuno che i ragazzi siano avviati a gestire responsabilmente le proprie libertà?

Non è opportuno che i genitori (spesso le mamme) alimentino chat sulla scuola dei figli con critiche (spesso) o proposte (meno spesso) ai responsabili della scuola. Oppure è opportuno  che i genitori interagiscano con la scuola nel processo educativo dei propri figli?

Non è opportuno permettere l’ uso dei cellulari a scuola. Oppure è opportuno non criminalizzare le nuove tecnologie ma educare ad usarle responsabilmente?

È opportuno…  Non è opportuno…

Dal latino opportunus nel significato di adeguato a raggiungere il porto.
E allora, abbiamo chiaro quale porto vogliamo raggiungere o far raggiungere? E abbiamo chiaro di quale imbarcazione e di quale carta nautica abbiamo bisogno per arrivare in quel porto e non in un porto qualsiasi?

P

PARTE

Parola omografa (si scrive uguale) e omofona (si pronuncia uguale) ma con significato diverso.

PARTE, sostantivo.

“Far parte per se stesso”: egoismo? arroganza? coraggio di stare fuori dal gregge?

“Prendere parte” o restare indifferente? Votare SI o NO a un referendum o astenersi? Schierarsi per la pace o per la guerra o restare a guardare?

“Fare parti uguali tra disuguali: il massimo dell’ ingiustizia”. Pretendere da tutti la stessa prestazione o chiedere che ognuno dia il massimo che può dare?

“Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

Prendere parte, essere partigiano.

1943-1945: brigate garibaldine (comunisti), brigate Matteotti (socialisti), brigate Giustizia e Libertà, brigate cattoliche, brigate autonome, brigate  anarchiche, reparti militari italiani che non obbedirono a nazisti e fascisti. E poi, partigiani bambini e soldati tedeschi che si ribellarono a Hitler e passarono coi partigiani.

PARTE, verbo.

Chi parte per una vacanza.

Chi parte per cercare lavoro.

Chi parte per fuggire dalla guerra, dalla miseria, da una dittatura.

Chi parte per l’ ultimo viaggio: eufemismo per parlare di morte senza nominarla.

Chi parte ma non sa perché. “Chi parte sa da cosa fugge, ma non sa cosa cerca“: citazione da Montaigne, rimasticata in un film di Massimo Troisi.



Q

QUIESCENZA

Termine tecnico con cui si indica in botanica il periodo di “riposo” delle piante. È più noto il suo uso nel linguaggio amministrativo per indicare la “pensione” di chi conclude il suo ciclo di lavoro.

QUIESCENZA o, più familiarmente, PENSIONE. Orizzonte lontano e, in parte, nebuloso per chi comincia a lavorare.
Traguardo che si intravede vicino per chi ha già lavorato troppi anni e che, però, si allontana talvolta di mese in mese o di anno in anno, come nel mitologico supplizio di Tantalo, che, se accostava la bocca all’ acqua, vedeva questa ritrarsi e, se alzava un braccio per cogliere un frutto, vedeva i rami dell’ albero schizzare verso l’alto.

QUIESCENZA vuol dire riposo.
E allora il pensionato si riposerà dalle sue fatiche di lavoratore sprofondando in una poltrona davanti alla TV? O si reinventerà la vita dando alle sue residue energie fisiche e psichiche un obiettivo che non sia più l’ esecuzione di un lavoro, la produzione di un risultato, il livello economico per misurare la quantità (più che la qualità) della propria condizione di vita?

Il riposo del pensionato che non si arrende alla poltrona davanti  alla TV: accompagnare i nipoti a scuola, alle attività sportive, alle feste degli amici, perché i genitori hanno i loro impegni al lavoro e fuori del lavoro e tu “non hai niente da fare”. 

R

RIBELLE

o RIVOLUZIONARIO

RIBELLE ci rimanda al latino REBELLIS, che è usato per indicare “chi rinnova la guerra contro il vincitore” oppure, in senso figurato, “chi è indocile” o, al plurale (REBELLES), “i rivoltosi, gli ammutinati”. Insomma il termine indica chi non ci sta al risultato in atto.

Nello stesso campo semantico REBELLIO ci parla di “insurrezione o ribellione contro il vincitore”, mentre il verbo REBELLARE rimanda all’idea di “riprendere la guerra contro il vincitore”. E’ a proposito di questi rebelles che Virgilio celebra la missione di Roma col monito “parcere victis et debellare superbos” (= essere indulgente con i vinti e togliere agli orgogliosi il vizio di ribellarsi).

Il prefisso RE, che in queste parole si combina con i derivati di BELLUM (= la guerra), sancisce per i termini di cui sopra il significato di una contrapposizione statica (che non prevede evoluzione), per la quale il RIBELLE “sta di fronte”, “sta contro”.

RIVOLUZIONARIO, a sua volta, risale al latino REVOLUTIO, che ha il significato di “rivolgimento” o di “far scivolare via”. In questo caso il prefisso RE offre al termine una valenza dinamica in direzione di “indietro” oppure di “una condizione opposta” da recuperare o rifondare.

Seguendo questi spunti etimologici, dunque, possiamo distinguere nel RIBELLE una disposizione a contrastare un’idea, una norma, una persona vincente e nel RIVOLUZIONARIO una vocazione a ribaltare lo stato di cose presente o in direzione di un ritorno a un mitico passato (l’età dell’oro) o in direzione di un’apertura a un futuro che rifonda il presente su basi alternative (i vari soli dell’avvenire del pensiero laico e di quello religioso).

RIBELLE è, ad esempio, il capo barbaro che incita i suoi a combattere i Romani pur sapendo di avere poche speranze di vittoria e in questa contrapposizione colloca la propria identità: sono contro, quindi sono.

RIVOLUZIONARIO, al contrario, è chi ambisce a rifondare i rapporti economico-sociali: col passaggio, ad esempio, dall’economia della caccia intinerante a quella dell’agricoltura stanziale, dal nomadismo all’insediamento urbano, dalla manifattura domestica a quella delle grandi industrie ecc.

Al di là di occasionali punti di contatto, il RIBELLE rivendica un diritto individuale e per questo contesta ogni decisione contraria, mentre il RIVOLUZIONARIO propugna diritti sociali e per questo si impegna a modificare radicalmente (cioè alla radice) lo stato di cose presente.

Nelle nostre società democratiche il conflitto sociale, che (ovviamente finchè si esprime in manifestazioni non violente) è sostanza della democrazia, si manifesta in due tipologie ovvero fenomenologie alternative.

Quella del RIBELLE contesta una decisione di chi governa (in ambito economico, sanitario, sociale ecc.) nel nome di un diritto individuale, proprio o della propria parte. Quella del RIVOLUZIONARIO contesta non una singola decisione ma una rete di decisioni che supporta un sistema che, a suo avviso, va contrastato e ribaltato con la conquista di diritti sociali.

La tipologia del RIBELLE, quando non vede soddisfatte le proprie rivendicazioni, può giungere a ipotizzare complotti dietro le decisioni che contesta o a identificare come nemici i cittadini che approvano quelle decisioni. La tipologia del RIVOLUZIONARIO cerca di individuare nel processo della storia le forze (in genere, economiche) che possono spingere verso un esito o un altro e intorno a queste forze cerca di costruire il consenso di coloro che non condividono lo stato di cose presente.

S

SERVO

Servo per debiti. Una volta, nell’ antica Grecia, se uno non era in grado di pagare un debito, diventava servo (cioè schiavo) del suo creditore. Poi venne (VI secolo prima di Cristo)un arconte (ed era un aristocratico, non un democratico), Solone, che proibì quest’ usanza e cancello’ tutti i debiti in vigore in quel tempo.

Servi della gleba. Negli ultimi tempi dell’ impero romano, per rimediare in qualche modo alle crisi economiche e sociali, gli imperatori vincolarono i figli dei contadini alla terra, impedendo loro di andarsene alla ricerca di altri lavori.

La vera schiavitù, insegna il cristianesimo, non è quella per cui tu sei servo di un altro uomo, ma quella del peccato per cui tu sei servo delle tentazioni e del male che rode la tua anima.

“Dialettica hegeliana di padrone e servo”:  il padrone comanda ma sa solo comandare; il servo sa fare e, quindi, attraverso il fare acquisisce un potere reale. Ne consegue che il padrone, che non può fare a meno del servo per essere padrone, diventa servo del proprio servo. Quando il servo acquisisce la consapevolezza di questa realtà, è imminente il ribaltamento dei ruoli.

Servus est, immo homo“: a chi distingueva gli uomini tra servi e liberi il latino Seneca (I secolo dopo Cristo) obiettava “Non è un servo, è un uomo”.

T

TAVOLO


Vado a comprare un tavolo nuovo per la mia cucina: vedo il materiale di cui è fatto, le sue misure, il suo prezzo.

Sono un fisico che studia la “materia” nei suoi termini di forza, energia, relazione tra le forze ecc. In quello stesso tavolo vedo elettroni in orbita che si scontrano o si evitano.

Quale è il tavolo vero? quello del compratore o quello del fisico?

Alla fine il compratore paga il tavolo e se ne va. Il fisico torna a casa e disegna un modello interpretativo della materia.

Chi è stato più utile all’economia, il compratore o il fisico?

In fin dei conti quel tavolo ha un valore sia per il compratore (o venditore) che per il fisico. Ognuno di loro sarà contento del “suo” tavolo.

Alla fine, morranno l’uno e l’altro, ognuno forse soddisfatto di aver goduto del proprio tavolo, ognuno ignaro di cosa avranno lasciato ai loro posteri.

Chi di loro avrà contribuito maggiormente al progresso dell’umanità? 

U

USTICA

GEOGRAFIA. Ustica è un’ isola del Mar Tirreno. Caratteristica naturale è la presenza di numerose grotte. Altra caratteristica è la quasi totale assenza di fonti idriche, alla quale si è tentato di porre rimedio con un dissalatore.

STRAGE. La sera del 27 giugno 1980 un aeromobile, partito da Bologna e diretto a Palermo, precipita nei pressi di Ustica. Muoiono tutti quelli che erano a bordo: 81 persone, di cui 77 passeggeri e 4 membri dell’ equipaggio.

Quali le cause? Abbattimento da parte di un aereo non identificato in uno scenario di guerra (oppure in un’ esercitazione militare)? Abbattimento per errore da parte di un missile francese o della NATO, scagliato da un aereo o da una nave contro un aereo libico che avrebbe dovuto avere a bordo Gheddafi? Esplosione di un ordigno collocato a bordo?

Le indagini della Magistratura durarono a lungo e incontrarono non poche difficoltà. Non si arrivò mai a un processo perché nel 1999 l’ istruttoria si chiuse con una decisione di non luogo a procedere, risultando ignoti gli autori della strage.

Nel 2007 un processo su presunti depistaggi da parte di alti ufficiali dell’ Aeronautica Militare Italiana si concluse in Cassazione con una definitiva sentenza di assoluzione.

Tuttavia, il reato di strage non si prescrive. E così recentemente il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è tornato a chiedere di insistere nella ricerca della verità, sollecitando anche la collaborazione dei Paesi amici.

Particolarmente impegnato in questa ricerca della verità fu Giovanni Falcone, che, con altri magistrati, cercò di scoprire cosa si nascondesse dietro i tentativi di insabbiamento e di illuminare eventuali coinvolgimenti della criminalità organizzata.

Proprio questa sua caparbia ricerca potrebbe essere non ultima delle ragioni del suo assassinio nel 1992 da parte della mafia

V

VINCERE

La parola d’ordine è una sola: VINCERE e vinceremo“…poi la realtà, brutale, si fece beffa della retorica di un dittatore vanaglorioso e millantatore.

Veni, vidi, vici” (= Sono venuto, ho visto, ho vinto): un “telegramma” di Cesare per celebrare la rapidità di una sua vittoria.

Non è un disonore perdere, se hai combattuto per vincere“: massima degli Shaolin per sottolineare che come ti comporti è più importante del risultato che ottieni.

Per vincere domani“: la lezione che a Danielsan impartisce il maestro Myagi, che lo costringe a mettere e togliere la cera da un parco di auto, a raschiare un pavimento di legno, a pitturare in su e in giù uno steccato… E con queste azioni, che sembrano non avere nulla a che fare col karate che Danielsan vorrebbe imparare, gli insegna proprio i fondamentali del karate.

Ai nostri morti l’ abbiamo giurato: vogliamo vincere o morir“: così cantavano nel 1943-1945 i partigiani della Valsesia di Cino Moscatelli. 


Z

ZARATHUSTRA

ZARATHUSTRA nella Storia.

Il nome, nella traslitterazione dall’ avestico, può avere anche altre forme: Zaratustra, Zoroastro, Zoroastre.
Visse in un periodo incerto tra l’ XI e il VII secolo prima di Cristo in un territorio compreso tra gli attuali Afghanistan e Turkmenistan.
Di lui si sa che fu un mistico, profeta del Mazdeismo (chiamato dal suo nome anche Zoroastrismo): una religione monoteista che ha un testo sacro, l’ Avesta in cui sono raccolti contributi di autori di epoche diverse, tra cui anche quelli di Zaratustra.


In questa religione sono opposti e inconciliabili lo Spirito del Bene e lo Spirito del Male: ai seguaci del primo toccano la Vita e la Migliore Esistenza; ai seguaci del secondo toccano la Non vita e la Peggiore

Esistenza. Non c’ è un dualismo tra due dei, perché il Dio è uno solo, Mazda; il dualismo c’è solo tra i due Spiriti, che, secondo alcuni interpreti, sono figli gemelli del dio unico.

ZARATHUSTRA nella Filosofia.
È il personaggio principale del libro di Nietzsche “Così parlò Zaratustra”: il profeta torna dal suo isolamento in montagna per proclamare all’ umanità la sua filosofia ovvero la filosofia di Nietzsche.  Principi fondamentali:

1. Il Superuomo (o, meglio, l’ Oltre uomo). Un uomo nuovo, capace di superare l’attuale condizione umana fondando valori nuovi.
2. Eterno ritorno. La vita si ripete secondo un cammino circolare e non lineare. Si tratta di riconoscere e accettare che quello che ci accade oggi è già accaduto e tornerà ad accadere.
3. Dio è morto. I valori tradizionali non hanno più senso. Si tratta di fondare valori nuovi ovvero di superare la morale cristiana e di abbracciare una visione dionisiaca della vita, colta nella pienezza della sua vitalità.

Anche Guccini scrisse una canzone, “Dio è morto”, proibita dalla Radio della Repubblica Italiana e trasmessa dalla Radio del Vaticano. Ma si tratta di ben altro: per Guccini Dio muore nei campi di sterminio, nel consumismo, nell’ ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto…
Ma dopo tre giorni risorge: nelle speranze dei giovani che sognano un mondo nuovo e cercano di costruirlo. 

Pubblicato da: luigivassallo | 12 agosto 2025

Pastasciutta antifascista

25 luglio 1943. Cade Mussolini, abbandonato anche da una parte dei suoi gerarchi, abbandonato dal re che lo fa arrestare approfittando della mozione di sfiducia del Gran consiglio fascista.
Ed esplode la gioia popolare. La gente festeggia credendo che ora la guerra finisca. Perché la guerra è morte, macerie, miseria, fame, tranne per chi fa i soldi vendendo armi o vendendo alla borsa nera le merci che la gente non trova nei negozi.
La gente festeggia, anche quelli che il 10 Giugno 1940 avevano applaudito la decisione di Mussolini di entrare in guerra al fianco di Hitler. Dopo tre anni di una tragica guerra nessuno o quasi crede più alle menzogne del fascismo. Perché, se la violenza e la persecuzione fascista contro chi non era d’accordo col Duce potevano riguardare solo gli antifascisti, le bombe sganciate dagli Alleati sulle città italiane non distinguevano tra amici e nemici del Duce.
La gente festeggia e molti buttano via i distintivi fascisti che magari avevano usato per un posto di lavoro o qualche beneficio. Ognuno festeggia a modo suo l’ illusione che ora sia tutto finito.
Ma la famiglia Cervi, che sa che la strada verso la pace e la democrazia è ancora lunga, festeggia in un modo originale. Organizza una pastasciutta per tutti, perché tutti hanno diritto a mangiare e fare festa, anche i fascisti, anche uno che si presenta con la camicia nera perché non aveva altro da mettere addosso.
Per la pastasciutta della festa serve il burro e i Cervi tirano fuori il burro che loro e altri contadini avevano nascosto per non consegnarlo allo Stato fascista
Così va in scena la prima pastasciutta antifascista, alla quale noi stasera ci ispiriamo.

Certo, noi non ci portiamo addosso la fame e la paura di anni di guerra da cancellare con un piatto di pasta. Noi possiamo permetterci di mettere al centro della nostra festa un rinnovato antifascismo che attualizza oggi il significato di quella pastasciutta.
Se il fascismo è discriminazione tra i buoni fascisti e i cattivi antifascisti, antifascismo è riconoscere valore a tutte le cittadine e a tutti i cittadini, che siano donne o uomini, qualunque sia il loro Dio, qualunque lingua parlino, qualunque sia la loro idea politica, qualunque sia la loro condizione economica e sociale. Per l’ antifascismo il popolo non è solo quello che vota per chi governa, ma tutti i cittadini, anche quelli che hanno ancora simpatie per il fascismo. Semmai, l’ antifascismo sa che l’ uguaglianza resta solo sulla carta se la Repubblica non adotta misure concrete per realizzarla nei fatti.

E allora una pastasciutta antifascista non è una sagra tra le altre, è qualcosa in più. È il piacere di mangiare insieme, prefigurando il sogno di una società di uguali, in cui le differenze stiano l’ una accanto all’altra condividendo il cibo comune, il cibo biologico per nutrire il corpo e il cibo spirituale per ricostruire nei gesti quotidiani la solidarietà dell’ unica tribù umana.
I fratelli Cervi sapevano che la gioia del mangiare insieme quella prima pastasciutta della libertà sarebbe durata poco. Sapevano che sarebbe stata necessaria una dura lotta contro il nazismo e il fascismo. E in questa lotta da lì a poco avrebbero sacrificato la loro vita.
Anche l’ antifascismo di oggi sa che una società di pace, giustizia e uguaglianza non sta dietro l’ angolo e che c’è bisogno di una dura lotta, sia pure in forme diverse dalla Resistenza.
La lotta partigiana, l’ unica guerra giusta combattuta dagli Italiani secondo don Lorenzo Milani, oppose i sogni degli antifascisti alla brutalità dei nazisti e dei fascisti che torturavano, saccheggiavano, uccidevano, distruggevano per dominare su tutti.

La lotta antifascista oggi è contro  le minoranze di potere che usano le loro smisurate ricchezze per accentuare le disparità tra ricchi e poveri e trovano sponde nei partiti sovranisti per leggi che riducano la sovranità popolare dei cittadini per trasformarli in sudditi obbedienti o rassegnati.
In questa lotta l’ antifascismo di oggi ha dalla sua la Costituzione della nostra Repubblica, che non a caso i sovranisti e i nostalgici del fascismo cercano di depotenziare, a cominciare dalla svalutazione della Resistenza e dal suo inscindibile rapporto con la Costituzione.

Per questo l’antifascismo oggi fa suo il monito di Piero Calamandrei che la Costituzione è una dichiarazione polemica contro il fascismo per quello che è stato, ma è anche una dichiarazione polemica contro ogni tentativo di farlo risorgere, magari sotto rinnovate spoglie.
E allora l’ ANPI ha il dovere di restare fedele alla memoria della Resistenza praticando una fedeltà quotidiana e impegnandosi in un recupero culturale degli indifferenti e dei nostalgici affinché il piacere di mangiare insieme questa sera si trasformi nel piacere di vivere tutti insieme ogni giorno della nostra vita, contribuendo ognuno come può al bene comune e ricevendo in cambio dagli altri quello di cui ha bisogno. 

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Pubblicato da: luigivassallo | 5 aprile 2025

In memoria di don Lorenzo Milani

PREMESSA

Don Lorenzo Milani muore di leucemia il 26 giugno 1967, a 44 anni. Un anno dopo, il 28 ottobre

1968, viene condannato per apologia di reato, avendo difeso contro i cappellani militari la coerenza

di chi, scegliendo l’obiezione di coscienza (che allora non era ammessa in Italia), accettava la galera

pur di non prestare servizio militare.

Di don Milani ha detto papa Francesco: Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per

difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianamente a partire dalla

lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione dei sacramenti, tanto che un sacerdote che lo

conosceva molto bene diceva di lui che aveva fatto indigestione di Cristo.

FARE SCUOLA DALLA PARTE DEGLI SVANTAGGIATI

  1. Il padrone sa 1000 parole. Tu ne sai 100. Ecco perché lui è il padrone.

E’ una citazione di don Milani, che deve essere ripensata con attenzione a cosa comporti sapere 1000 o 100 parole. Perché PAROLA include non solo la forma esteriore (fonema, morfologia, sintassi) ma anche e soprattutto il contenuto.

Possedere la PAROLA significa possedere il SIGNIFICATO e, quindi, la capacità di usarlo.

Chi sa 1000 parole ha un orizzonte di pensiero più vasto di chi ne sa solo 100, perché, senza parole, si pensa poco e male. Chi sa 1000 parole ha un campo di conoscenze più vasto di chi ne sa solo 100 e questo bagalio di conoscenze gli serve non tanto per fare bella figura nei salotti o nei convegni, ma soprattutto per muoversi a suo agio nei meccanismi dell’economia e della politica.

Chi sa solo 100 parole è esposto alle possibili manipolazioni da parte di chi ne sa 1000., perché, ad esempio, non ha gli strumenti per capire che le statistiche sul PIL nasconondono che pochi si dividono la parte maggiore della torta mentre molti devono accontetarsi solo delle briciole.

Chi sa solo 100 parole difficilmente riesce a riconoscere che, dietro i proclami di chi controlla la politica e promette di difendere gli interessi del popolo, si nascondono le intenzioni reali di difendere gli interessi di pochi e non di tutti.

Chi sa solo 100 parole è facilmente preda oggi di narrazioni diffuse dai social, che tendono a riscrivere la storia o a diffondere il convincimento che protestare contro le ingiustizie significa favorire la violenza.

Se le cose stanno così, allora serve una scuola che ponga fine a questa disuguaglianza culturale, che nasce da disuguaglianze economiche e sociali e le rafforza perpetuandole.

Una scuola coerente col 2° comma dell’art.3 della nostra Costituzione: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostcoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’orgnizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ma una scuola del genere don Milani non la vede intorno a sé. Non la vede nella scuola pubblica, l’accesso alla quale è stato conquistato con dure lotte dalle masse popolari. E non la vede certo nella scuola privata, nemmeno in quella dei preti, perché la scuola privata, quando non si immiserisce in un diplomificio, è un luogo che, a pagamento, si propone proprio di perpetuare e garantire la discriminazione tra chi sa 1000 parole e chi ne sa solo 100, discriminazione che don Milani vorrebbe combattere.

Ed ecco allora la denuncia di don Milani.

2. Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

La metafora dell’ospedale, con la quale don Milani denuncia il fallimento della scuola pubblica, è la più citata sia da coloro che accusano don Milani di aver contribuito alla distruzione del sistema scolastico italiano sia da coloro che, convinti di camminare sulle orme di don Milani, ne hanno talvolta travisato il pensiero e la sfida.

Don Milani non sta dicendo che l’ospedale deve far finta che i malati siano sani; sta semplicemente ricordando che la missione di un ospedale è curare i malati perhcé diventino sani.

Si tratta, allora, di attrezzare l’ospedale con le risorse umane e strumentali adeguate alla missione che deve svolgere.

Allo stesso modo, quando stigmatizza la scuola che si limta a bocciare gli alunni che non raggiungono i livelli minimi di sapere e saper fare, don Milani non sta invitando i docenti a chiudere gli occhi sulle “malattie cuturali” dei propri aluni. Con buona pace dei suoi detrattori e di una parte dei suoi estimatori (che l’hanno frainteso), don Milani non ha niente a che vedere con una scuola che si impietosisca perché molti suoi allievi sanno solo 100 parole e si accontenti di queste poche parole per mandarli avanti.

Egualmente don Milani non ha niente da spartire con una scuola che attribuisca a colpa degli allievi il fatto che sappiano solo 100 parole e li inchiodi a quella colpa bocciandoli.

3. Don Milani è ben consapevole che Ogni parola che non capisci oggi è un calcio nel culo domani.

Perciò don Milani non chiede alla scuola pubblica di promuovere gli allievi difficili chiudendo gli occhi sulle loro ignoranze e i loro ritardi. Chiede, al contrario, di rimuovere quelle ignoranze e quei ritardi. E così la sua denuncia della scuola pubblica diventa radicale.

Perché, come non si può avere un ospedale efficiente nella cura dei malati se non si adeguano le risorse umane e strumentali a questo compito, così non si può avere una scuola che non si limiti all’alternativa tra bocciare o promuovere per finta, se non sii rinnova la scuola nei suoi insegnanti, nei suoi programmi, nei suoi metodi.

Così don Milani fonda una sua scuola, prima a San Donato, poi a Barbiana. Una scuola per gli ultimi, quelli che sono destinati al laboro (e nemmeno a un lavoro specializzato), quelli che, come direbbe un insegnante in buona fede, non sono portati per lo studio. Quelli che, nella canzone “Contessa”, scandalizzano i benpensanti perché “Che tempi, contessa, oggi anche l’operaio vuole il figlio dottore!

4. La scuola di don Milani

E’ anzitutto una denuncia, perché la disuguaglianza tra i cittadini, ben rappresentata dalla differenza di potere tra chi sa 1000 parole e chi ne sa 100, grida vendetta di fronte a Dio e di fronte agli uomini: di fronte al Vangelo e di fronte alla Costituzione.

Di fronte al Vangelo, perché non si può predicare il Vangelo a chi non ha gli strumenti per intenderlo; di fronte alla Costituzione, perché questa disuguaglianza è un tradimento dell’art.3 della nostra Costituzione.

Ma è anche una sfida e una provocazione che ancora oggio interpella coloro che vogliono credere alla funzione democratica della scuola pubblica.

5. Sfida e provocazioni

  • TEMPO SCUOLA

    Si fa scuola tutto l’anno, tutti i giorni, anche la domenica. Non c’è vacanza, non c’è ricreazione. Al professorone universitario, che obietta che una scuola del genere è eccessiva ed è contraria all’equilibrio psico-fisico degli allievi, un allievo di don Milani (uno di quelli che veniva da famiglia di contadini e che oltre la scuola conosceva solo il lavoro nei campi e nelle stalle) risponde: La scuola è sempre meglio della merda.

  • IL FINE DELLO STUDIO

Quello che si studia deve favorire la crescita delle persone, fino a far partecipare i figli

degli operai e dei contadini alla stessa cultura alta alla quale i figli delle “buon famiglie”

accedono naturalmente per diritto di nascita. L’obiettivo è che Gianni consegua la stessa cultura di Pierino, perché la cultura di Pierino è lo strumento per la conservazione e la legittimazione del suo potere di classe.

  • GIANNI NON DEVE DIVENTARE PIERINO, MA RESTARE FEDELE AL MOTTO I CARE.

L’acquisizione della cultura di Pierino da parte di Gianni non deve accompagnarsi all’acquisizione dell’individualismo e dell’egoismo. Il motto della scuola di don Milani è I CARE (= mi prendo cura), che è il contrario del motto fascista “Me ne frego”.

  • I CARE = MI PRENDO CURA.

Chiunque sa qualcosa deve metterlo a disposizione degli altri.

I ragazzi più grandi si prendono cura dei più piccoli e ne divetano maestri responsbili della loro crecita.

Il maestro si prende cura di tutti gli allievi e da ognuno di essi pretende il massimo possibile.

  • NESSUNA INDULGENZA

Prendersi cura significa pretendere dagli allievi il massimo. Prendersi cura è il contrario

dell’indulgenza. Ogni parola che non capisci oggi è un calcio nel culo domani. La scuola

deve essere democratica nel fine, ma monarchica assolutista nella pratica. Questi ragazzi

sono figli di pastori. Bisogna dimostrargli che la scuola è una cosa seria…(anche frustandoli

con un ramoscello). Sono parole e azioni di don Milani.

Franco Gesualdi (uno dei primi allievi di don Milani, ricorda che don Milani si arrabbiava se uno lo lasciava proseguire senza capire, e gridava “Ogni parola che non conosci è una fregatura in più, è una pedata in più che avrai nella vita“.

  • QUALE SAPERE? QUALE METODO PER ACQUISIRLO?

Il sapere deve essere strumento di conoscenza della realtà. Le lingue straniere vanno studiate

non tanto per le loro eccezioni grammaticali, quanto per comunicare con le altre culture: don

Milani manda ragazzi di 15 anni all’estero a studiare le lingue lavorando.

Libri e giornali vanno letti inseme e discussi per afferrare la realtà che sta dietro di loro, perché il vero sapere democratico non può essere confinato nell’acquisizione individuale, ma deve essere costruito nel dibattito, anche contraddittorio: nessuno è da solo portatore di verità assolute e definitive.

Le lezioni dei vari esperti che don Milani porta dai suoi ragazzi non devono essere assorbite passivamente ma devono essere discusse e criticate per coglierne la sostanza. Don Milani pretende dai suoi allievi che intervengano domandando, discutendo, criticando, perché solo così il sapere smette di essere adattamento a volontà imposta dall’esterno e diventa strumento per valutazioni critiche personali.

  • QUALE INSEGNANTE PER UNA SCUOLA ALLA DON MILANI?

Un’altra provocazione di don Milani: un insegnante autentico non dovrebbe avere una famiglia che lo distragga con i suoi problemi e non dovrebbe avere remore a criticare qualsiasi impostazione confessionale (di chiesa o dipartito) del sistema scolastico. Una posizione del genere non poteva che provocare insofferenza sia nella Chiesa sia nei partiti politici, accanto alle simpatie di noi che, nel Sessantotto, ci preparavamo ad insegnare e intanto sfioravamo posizioni eretiche nel dogmatismo cattolico o nel dogmatismo comunista.

  • E SE PRENDESSIMO SUL SERIO LA PROVOCAZIONE DI DON MILANI?

Lettera a una professoressa termina con la formulazione di una speranza da parte dei ragazzi che l’hanno scritta: Ora siamo qui a aspettare una risposta. Ci sarà bene in qualche istituto magistrale qualcuno che ci scriverà:

Cari ragazzi, non tutti i professori sono come quella signora. Non siate razzisti anche voi. Anche se non sono d’accordo su tutto quello che dite, so che la nostra scuola non va. Solo una scuola perfetta può permettersi di rifiutare la gente nuova e le culture diverse. E la scuola perfetta non esiste. Non lo è né la nostra né la vostra. Comunque quelli di voi che vogliono essere maestri venite a dare gli esami quaggiù. Ho un gruppo di colleghi pronti a chiudere due occhi per voi. A pedagogia vi chiederemo solo di Gianni. A italiano di raccontarci come avete fatto a scrivere questa bella lettera. A latino qualche parola antica che dice il vostro nonno. A geografia la vita dei contadini inglesi. A storia i motivi per cui i montanari scendono al piano. A scienze ci parlerete dei sormenti e ci direte il nome dell’albero che fa le ciliege“.

Aspettiamo questa lettera. Abbiamo fiducia che arriverà.

PRENDERE SUL SERIO LA COSTITUZIONE

  • Il compito della Repubblica, sancito dal 2° comma dell’art. 3 della Costituzione, di rimuovere gli ostacoli economico-sociali all’effettiva libertà e uguaglianza dei cittadini.
  • L’idea di patria, delineata dagli artt. 11 e 52 della Costituzione, col ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, ripudio coniugato col dovere di tutti i cittadini di difendere la propria patria.

Se il 2° comma dell’art. 3 è lo sfondo naturale dell’idea di scuola teorizzata e praticata da don

Milani, gli articoli 11 e 52 sono lo sfondo naturale della sua polemica contro i cappellani militari

che gli costò un processo e una condanna.

Don Milani è radicalmente distante dalla condanna che i cappellani militari fanno pubblicamente

dell’obiezione di coscienza come insulto alla Patria e come espressione di viltà, estranea al

comandamento cristiano dell’amore. Nella sua difesa dall’accusa di apologia di reato per la sua

condivisione dell’obiezione di coscienza, don Milani rilegge il concetto di patria e le scelte di guerra

compiute dall’Italia dal 1860 ai suoi giorni, per concludere che in cento anni di storia italiana c’è

stata una sola guerra giusta (ammesso che una guerra possa essere giusta), a fronte delle altre che

sono state guerre di aggressione, e questa guerra “giusta” è stata la guerra partigiana, che ha visto da

una parte soldati che obbedivano al regime e dall’altra soldati che obiettavano. Chi di loro era dalla

parte della Patria?

Nella lettera ai giudici, che invia non essendo fisicamente in grado di presentarsi in tribunale a

difendersi, don Milani si assume le sue responsabilità di maestro, ricordando che un maestro deve

essere per quanto può profeta: In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai

miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è di obbedirla. Posso solo dire loro che essi

dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando

sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il

sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la

legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero.

Ma don Milani sottolinea che la vera leva è influire con l’esempio e la parola su chi vota e su chi

sciopera. E l’esempio più grande è quello di chi paga di persona. Gli obiettori di coscienza pagano

di persona (andando in carcere) come pagarono di persona Socrate, Cristo, Gandhi, il pilota di

Hiroshima (che, dopo aver visto gli effetti della bomba atomica da lui sganciata, non riuscì più a

dormire).

NON SI PUO’ CHIUDERE DON MILANI IN UNO SCHEMA

  • Obbediente alla Chiesa e confinato nella parrocchia di Barbiana che, per le sue ridottissime

dimensioni, doveva essere chiusa. Processato insieme col direttore (suo amico di infanzia)

della rivista comunista Rinascita a causa della sua lettera in difesa degli obiettori di

coscienza (che la rivista aveva pubblicato), e don Milani annota che quella rivista non

meritava di essere fatta bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza

e la non violenza.

  • La vittoria della Democrazia Cristiana del 1948 vissuta da don Milani come una disgrazia:

Per un prete quale trappola più grossa di questa potrà mai venire? Essere liberi, avere in

mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta

questa dovizia di mezzi divini ed umani raccogliere il bel frutto di essere derisi dai poveri,

odiati dai più deboli, amati dai più forti.

  • Obbedire alle direttive delle autorità ecclesiastiche di far votare i candidati democristiani in

funzione anticomunista e constatare che quel voto non serviva a migliorare le condizioni dei

poveri.

  • Vivere la fedeltà al Vangelo e alla Costituzione ricevendo in cambio ferite e incomprensioni

per questa duplice fedeltà.

  • Una lettera di don Milani del 1950 al giovane comunista Pipetta: Il giorno che avremo

sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia

del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare

l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei

cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e

puzzolente a pregare per te davanti al mio signore crocifisso.

Don Milani sta parlando qua di povertà, che è un valore se uno la sceglie liberamente, ma è un ostacolo da rimuovere se uno la subisce non volendola. Il cristiano collabora a rimuovere gli ostacoli con chiunque voglia rimuoverli, ma poi sceglie liberamente di condividere quello stesso ostacolo che ha contribuito a rimuovere, perché proprio in esso c’è l’incarnazione del suo Dio.

Pubblicato da: luigivassallo | 28 marzo 2025

Divagazioni sulla Pasqua cristiana

PASQUA CRISTIANA O PASQUA DI RESURREZIONE

Un piccolo gruppo di donne e uomini deve decidere se credere o no alla promessa di colui che hanno seguito fino ai piedi della croce sulla quale sta spirando. Ha promesso loro che sarebbe risorto dalla morte, che sarebbero risorti dalla morte tutti quelli che avessero creduto in lui. Manterrà la sua promessa? Le acque del Mar Rosso si separarono per far passare gli Ebrei e si richiusero per fermare i loro inseguitori, ma questo racconto dice la verità o è solo un sogno e una speranza? Risorgeranno veramente a nuova vita i bambini maciullati dalle bombe? Saranno veramente beati i poveri? Saranno saziati quelli che hanno fame e sete di giustizia?

Passarono centinaia di anni e ogni anno la prima domenica successiva al plenilunio dell’equinozio di primavera si rinnova il rito della credenza in quella promessa. Certo, per alcuni la memoria della cena, di quell’ultima cena, si esaurisce nel pranzo abbondante in famiglia, dove non mancano a volte finte atmosfere di amicizia e fratellanza, giacché Giuda non è figura esclusiva di un solo luogo e di un solo tempo. Per altri, però, quella memoria fa ancora breccia nei propri sentimenti e nel proprio vissuto, soprattutto nella missione lasciata da chi da lì a poco sarebbe morto in croce: ” Fate questo in memoria di me”.

Pubblicato da: luigivassallo | 28 marzo 2025

Divagazioni sulla Pasqua ebraica

Divagazioni sulla 

**PASQUA EBRAICA O PASQUA DI LIBERAZIONE**

Il popolo di Israele, guidato da Mosè, che era ispirato (o credeva di essere ispirato) da Dio, si mette in marcia verso la “terra promessa” e inizia il suo cammino di liberazione dalla schiavitù in Egitto. Non sarà un cammino facile: dovrà provare la fame, dovrà rimpiangere la schiavitù che almeno gli assicurava da mangiare, dovrà perdere la fiducia in chi lo sta guidando, dovrà prestare orecchio a subdoli demagoghi, dovrà affrontare popoli ostili. Alla fine, però, una generazione nata nella lunga marcia attraverso il deserto arriverà a vedere la terra promessa.

E allora le fatiche per sfuggire alla schiavitù cominceranno ad essere tramandate in racconti rituali, perché il popolo che è disceso da quel cammino possa apprezzare la liberazione confrontandola con la memoria di quello che c’era prima. Uno di questi racconti rievoca le acque del Mar Rosso che annegano gli Egiziani colpevoli di voler impedire la liberazione degli Ebrei. Come non pensare alle acque del Mar Mediterraneo che annegano non inseguitori ma inseguiti, che sono colpevoli solo di voler sfuggire alla fame, alla violenza, alla guerra e di credere che possa esserci anche per loro una “terra promessa”.

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