Pubblicato da: luigivassallo | 27 marzo 2025

Divagazioni sulla Pasqua

PASQUA EBRAICA O PASQUA DI LIBERAZIONE

Il popolo di Israele, guidato da Mosè, che era ispirato (o credeva di essere ispirato) da Dio, si mette in marcia verso la “terra promessa” e inizia il suo cammino di liberazione dalla schiavitù in Egitto. Non sarà un cammino facile: dovrà provare la fame, dovrà rimpiangere la schiavitù che almeno gli assicurava da mangiare, dovrà perdere la fiducia in chi lo sta guidando, dovrà prestare orecchio a subdoli demagoghi, dovrà affrontare popoli ostili. Alla fine, però, una generazione nata nella lunga marcia attraverso il deserto arriverà a vedere la terra promessa.

E allora le fatiche per sfuggire alla schiavitù cominceranno ad essere tramandate in racconti rituali, perché il popolo che è disceso da quel cammino possa apprezzare la liberazione confrontandola con la memoria di quello che c’era prima. Uno di questi racconti rievoca le acque del Mar Rosso che annegano gli Egiziani colpevoli di voler impedire la liberazione degli Ebrei. Come non pensare alle acque del Mar Mediterraneo che annegano non inseguitori ma inseguiti, che sono colpevoli solo di voler sfuggire alla fame, alla violenza, alla guerra e di credere che possa esserci anche per loro una “terra promessa”.

PASQUA CRISTINA O PASQUA DI RESURREZIONE

Un piccolo gruppo di donne e uomini deve decidere se credere o no alla promessa di colui che hanno seguito fino ai piedi della croce sulla quale sta spirando. Ha promesso loro che sarebbe risorto dalla morte, che sarebbero risorti dalla morte tutti quelli che avessero creduto in lui. Manterrà la sua promessa? Le acque del Mar Rosso si separarono per far passare gli Ebrei e si richiusero per fermare i loro inseguitori, ma questo racconto dice la verità o è solo un sogno e una speranza? Risorgeranno veramente a nuova vita i bambini maciullati dalle bombe? Saranno veramente beati i poveri? Saranno saziati quelli che hanno fame e sete di giustizia?

Passarono centinaia di anni e ogni anno la prima domenica successiva al plenilunio dell’equinozio di primavera si rinnova il rito della credenza in quella promessa. Certo, per alcuni la memoria della cena, di quell’ultima cena, si esaurisce nel pranzo abbondante in famiglia, dove non mancano a volte finte atmosfere di amicizia e fratellanza, giacché Giuda non è figura esclusiva di un solo luogo e di un solo tempo. Per altri, però, quella memoria fa ancora breccia nei propri sentimenti e nel proprio vissuto, soprattutto nella missione lasciata da chi da lì a poco sarebbe morto in croce: ” Fate questo in memoria di me”.

Pubblicato da: luigivassallo | 27 marzo 2025

Fantasmi

**FANTASMI**

Affondano i piedi nel fango
Putrido
O nella neve
Gelata
O nella sabbia del deserto
Rovente.

Ammucchiati in un sacco
Trascinano
Povertà e sogni.

Nell’ orizzonte frugano
Una promessa.

Per inseguirla pagano a Caronte
L’ obolo.

Indifferente un’ onda inghiotte
La traversata
Oppure sarà il volto arcigno
Di chi ha dovuto alzarsi da  tavola
A respingere quel sacco che infastidisce
Con la sua povertà e i suoi sogni. 

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Pubblicato da: luigivassallo | 31 gennaio 2025

Attendere – Aspettare

ATTENDERE – ASPETTARE

ATTENDERE e ASPETTARE sono usati comunemente come sinonimi, ma, se diamo uno sguardo all’etimologia, possiamo cogliere delle sfumature che rendono le due azioni non completamente sovrapponibili.

ATTENDERE deriva dal latino ATTENDERE (ad + tendere), che ha i significati di “tendere verso”, “rivolgere attenzione”, “badare”.

ASPETTARE deriva dal latino ASPECTARE (ad + spectare), intensivo di ASPICIO. ASPECTARE ha il significato di “guardare con attenzione” (talvolta anche con ammirazione), “stare di fronte”, “attendere”.

Stando all’etimologia, Attendere indica l’azione di “tendere verso qualcosa o qualcuno. Si può tendere una cosa materiale: ad esempio, “tendere un telo verso” e, quindi, “stendere”. Si può anche tendere una cosa immateriale: ad esempio, “volgere l’attenzione verso”. Questo secondo esempio ci riporta al valore particolare di ATTENDERE nel significato di “occuparsi in qualcosa”.

Il verbo contiene una sfumatura di movimento: che sia il movimento di cose o quello della mente.

Aspectare, a sua volta, stando all’etimologia, indica l’azione di “guardare con attenzione” (anche, talvolta, con ammirazione), stando di fronte a quello che si guarda.

A differenza di ATTENDERE, che contiene una sfumatura di movimento, ASPECTARE indica un’azione “statica” e la preposizione ad, con cui è composto, indica, non un avvicinamento o un’attrazione, ma una distanza. Distanza fisica, nel senso che “guardo da dove sono”, e distanza emotiva, nel senso che (ammirazione a parte) la mia mente non è coinvolta in questo guardare.

Per concludere, tornando ai due verbi italiani legati all’idea dell’attesa, potremmo dire che ASPETTARE include un’azione che mi coinvolge poco emotivamente: “Aspetto il treno delle 10”, “Aspetto che finisca il telegiornale”, “Aspetto che suonino le 8” ecc.

ATTENDERE, invece, aggiunge all’attesa una dose di emotività: “Attendo di essere interrogato in Storia”, “Attendo che pubblichino gli esiti degli esami che ho sostenuto”, “Attendo la sentenza del giudica sul mio processo” ecc.

Pubblicato da: luigivassallo | 6 gennaio 2025

Essere. Esistere

Essere – Esistere

I termini “essere” e “esistere” li usiamo abitualmente come sinonimi, in particolare quando “essere” non è una copula (come nelle frasi “Essere italiano”, “Essere donna”, “Essere stanco” ecc.) ma è un predicato verbale (come nelle frasi “Essere a Roma”, ”Il treno c’è?”, “Essere o non essere” ecc.).

Da un punto di vista epistemologico, cioè dal punto di vista del fondamento del loro significato autentico, però, i due termini non sono completamente sovrapponibili. Già la derivazione etimologica ci fa intuire che tra i due termini c’è una differenza di significato non superficiale.

ESSERE, da una radice “es” che ritroviamo nell’infinito latino ESSE o, ridotta a “s”, in alcun forme coniugate dello stesso verbo (ad esempio, SUM = sono), contiene il significato di: essere, esserci, esistere, trovarsi, aver luogo, accadere, vivere, essere in relazione, stare con qualcuno, appartenere a qualcuno, essere realmente, essere effettivamente, essere qualcuno o qualcosa.

ESISTERE, dal canto suo, dal latino EXSISTERE, in virtù della preposizione EX (che indica moto da luogo o allontanamento) riceve il significato di: venir fuori, apparire, sbucare all’improvviso, nascere, mostrarsi, sorgere, divenire.

Nessuno stupore, quindi, che i filosofi, avvezzi a centellinare le parole per spremerne il succo più autentico, abbiano nei secoli elaborato percorsi diversi di ricerca e definizione, incentrati su ESSERE e ESISTERE.

Così, nel rispondere alla domanda “Qual è l’esseità, cioè la sostanza di ESSERE?” o all’altra domanda “Qual è la sostanza di ESISTERE?” nella storia della filosofia, almeno nella storia della filosofia occidentale che personalmente conosco, si trovano indicazioni ed esplorazioni diverse.

L’ESSERE è unico o molteplice? L’unicità dell’ESSERE è riconosciuta dalla ragione e la molteplicità dell’ESSERE (ovvero degli Enti in cui si manifesta l’ESSERE) appartiene alla conoscenza mediante i sensi? E’ più vera l’immobilità dell’ESSERE o il suo divenire nello spazio e nel tempo? L’ESSERE è di per sé, in quanto è; o è in quanto pensato da un soggetto? L’ESSERE è conoscibile o possiamo analizzare solo i meccanismi e i modi di funzionare della nostra conoscenza? L’ESSERE dell’uomo è Esserci, cioè è proprio l’uomo che pone domande sul senso dell’essere? La questione della sostanza dell’ESSERE è un falso problema che si dissolve con un’analisi critica dei vari significati che, in situazione, assume il verbo “essere”?

E così pure, se ESISTERE significa “venir fuori”, qual è la sua essenza cioè che cosa rende reale l’aspirazione a venir fuori?

Non è necessario farci travolgere dal vortice di queste domande, anche perché non è detto che “il naufragar m’è dolce in questo mare”. Se depuriamo il dibattito appena accennato dal tecnicismo del linguaggio dei filosofi di professione, ci ritroviamo tra le mani, con parole più semplici, le stesse domande come cittadini comuni, che, a volte, possono essere chiamati a manifestare la propria opinione su questioni dibattute dai filosofi ma, magari, reimpostate dalla classe politica o dalle nostre stesse esigenze di vita.

Ad esempio, qual è la sostanza di “Essere italiano”? ovvero qual è l’ESSERE dell’italianità? Dove sta la sua “esseità”? Nell’essere nato in Italia? (ius soli). Nell’essere nato da genitori italiani? (ius sanguinis). Nell’aver frequentato scuole italiane? (ius scholae). Nell’avere conoscenza e capacità di uso della cultura e della lingua italiane? (ius culturae col rischio di considerare “stranieri” non pochi membri della classe politica e dirigente in Italia). Nel riconoscersi nei valori della nostra Costituzione? (col rischio di privare della cittadinanza i nostalgici, in forme varie, del fascismo).

Una medesima analisi critica possiamo applicare ad altre ricerche di sostanza ovvero di essere. Qual è la sostanza di “Essere padre” o “Essere docente” o “Essere cittadino” o “Essere suddito” e così via.

L’analisi critica ci porta a cogliere la differenza tra apparenza, quella alla quale ci si può fermare sotto la spinta del conformismo, e realtà autentica, quella che non si vede di primo acchito ma deve essere colta con un processo di ricostruzione fondato non sui sensi (o sulla pancia o sulla delega al pensiero altrui) ma sulla critica della ragione, cioè sulla capacità di giudicare da adulti con la propria testa: e qui, ovviamente, si pone il problema che essere adulti (cioè la sostanza dell’adultità) non è un fatto anagrafico ma è un fatto di competenze intellettive e relazionali, che non si producono biologicamente ma si acquisiscono insieme con lo sviluppo di una coscienza critica.

Ed eccoci così arrivati a interrogarci criticamente sulla sostanza ovvero sull’essere di ESISTERE. Io esisto perché sono biologicamente ancora vivo? Io esisto perché costituisco, per parte mia, una parentesi tra la casualità della mia nascita e l’ineluttabilità della mia morte? Io esisto perché a questa parentesi cerco di dare un senso, affidandomi a una bussola religiosa o filosofica o politica? Io esisto perché sono cosciente della mia individualità? Io esisto perché mi sento vivo se mi confondo nella massa? Io esisto perché faccio parte di quelli che vincono o perché faccio parte di quelli che perdono? Io esisto perché vivo consapevolmente in questo territorio e in questo tempo (ESSERCI) oppure io esisto sentendomi abitante di un altro mondo o di un altro tempo?

E se queste mie elucubrazioni fossero solo il frutto non voluto di libagioni abbondanti nelle feste natalizie? E se, alla fine, tutte le domande su ESSERE e ESISTERE trovassero risposte solo nel soddisfacimento dei bisogni primari (mangiare, bere, dormire, fare sesso)? E se l’alternativa tra ESSERE e NON ESSERE si risolvesse vantaggio di ESSERE solo accettando la prospettiva religiosa di una dimensione della vita oltre la vita oppure a vantaggio di NON ESSERE negando tale prospettiva?

Comunque vada, ci resta la possibilità di scegliere se remare o meno verso l’isola che non c’è o sogghignare guardando dalla riva gli illusi che si ostinano a remare verso un’isola che non può esserci. I primi cercano la sostanza del loro ESSERE nell’ostinazione a remare e in questa ostinazione ESISTONO; i secondi cercano la sostanza del loro ESSERE nel sogghignare sulle illusioni altrui e in questo sogghigno ESISTONO.

Pubblicato da: luigivassallo | 15 dicembre 2024

Ma perché proprio il 25 dicembre?

Ma perché proprio il 25 dicembre?

Di Gesù, del Gesù storico, non si parla né nei memoriali dei Romani né in quelli degli Ebrei. Se ne parla in qualche modo nei Vangeli, che, probabilmente, sono stati scritti dopo la sua morte da persone che ne avevano sentito parlare ma non lo avevano visto. In ogni caso nemmeno in questi racconti viene riportata la data di nascita di Gesù. Non a caso nei primi secoli le comunità cristiane festeggiavano il Natale non in uno stesso giorno ma in date diverse. E, quando all’ anno della nascita di Gesù, non si ponevano nemmeno il problema.

Fu un monaco del V-VI secolo, Dionigi il Piccolo, ad affrontare il problema dell’ anno. Era molto istruito e, anche se commise qualche errore di calcolo, rivoluzionò il calendario fino ad allora in uso, sostituendo alla presunta data della fondazione di Roma o a quella della salita al trono dell’ imperatore Diocleziano, una data che segnasse una rottura con la cultura religiosa precedente e l’ avvento del rivoluzionario messaggio evangelico: appunto la nascita di Gesù, che avrebbe segnato lo spartiacque del calendario cristiano tra prima e dopo Cristo, calendario che, di fatto, l’ Occidente avrebbe fatto accettare al mondo intero.

In realtà Dionigi aveva cominciato a cercare di mettere ordine alla data della Pasqua, che, essendo calcolata sulla base del calendario lunare, finiva con l’ essere celebrata in giorni diversi dalle comunità cristiane.

Impegnatosi, poi, a redigere un calendario cristiano alternativo a quello pagano, Dionigi usò elementi cronologici presenti nei Vangeli, in particolare il fatto che il re Erode fosse vivo al tempo della nascita di Gesù e l’ evento di un censimento imposto da Roma storicamente documentato. Dionigi commise, però, un errore di calcolo e collocò l’ anno zero (quello dell’ inizio del calendario cristiano) qualche anno dopo i riferimenti cronologici che aveva usato.

E il giorno, 25 dicembre, come fu stabilito?

Le comunità cristiane, tranne quella di Roma, festeggiavano il Natale in ben altre date, più compatibili con la scena evangelica dei pastori che dormivano all’ aperto.

Ma, quando la Chiesa si pose il problema di inglobare (“cristianizzare”) le tradizioni popolari pagane, la scelta della comunità cristiana di Roma di festeggiare il 25 dicembre apparve lungimirante perché in quella data (identificata col solstizio d’inverno) i pagani festeggiavano il ritorno del Sol Invictus (il Sole invincibile), che poteva, senza particolari sforzi, essere assimilato al Redentore che sconfigge le tenebre del peccato e riporta agli uomini la luce della salvezza.

Gli ortodossi hanno conservato la tradizione del 6 gennaio, quella dell’ epifania, ossia della presentazione di Gesù al mondo (i pastori, i Magi…): c’entra anche il fatto che il calendario religioso ortodosso segue il calendario giuliano e non quello della riforma gregoriana.

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Pubblicato da: luigivassallo | 15 dicembre 2024

Maria

Quella ragazza, che cammina accanto a un uomo già avanti negli anni, è incinta. L’uomo sarà suo marito o suo padre?. Hanno già bussato a un paio di dormitori pubblici per passare la notte, ma non hanno trovato posto. Forse li hanno respinti non perché non avessero da pagare, ma perché sono forestieri e la gente qua è sempre sospettosa verso chi viene da fuori, a meno che non sia uno carico di soldi, pronto a spenderli sul posto.

Alla fine i due ottengono di essere alloggiati in una stalla: il padrone, che abita in una casetta lì vicino, facendosi pagare il fitto della stalla come se fosse una confortevole camera d’albergo, ha dimenticato tutte le sue diffidenze nei riguardi dei forestieri.

Quando partorirà Maria? Così l’ha chiamata il marito o il padre, mentre le sistemava con la paglia della stalla un giaciglio alla bell’e meglio. Per quello che loro due riescono a capire, non manca molto al parto.

C’è chi partorisce assistita in un ospedale da medici e infermiere competenti. C’è chi partorisce con l’aiuto di una mammana, che mette a disposizione delle altre donne l’esperienza che si è fatta quando, più volte, ha partorito lei. C’è chi partorisce da sola, perché non vuole che il suo corpo sia profanato da medici o mammane oppure perché non ha i soldi né altro per ricompensare gli uni o le altre.

Ma sempre chi partorisce, anche mentre soffre per il dolore del parto, sogna per la bambina o il bambino che sta per nascere un futuro migliore del presente che la loro madre e il loro padre vivono. Un futuro in cui non ci si debba accontentare di una stalla per dormire o per mettere al mondo un figlio. Un futuro in cui non si debba elemosinare un lavoro per campare. Un futuro in cui non si sia guardati con sospetto o disprezzo perché si parla un’altra lingua o si ha la pelle di un colore diverso dagli altri.

Nessuna mamma, mentre dà al mondo un figlio o un figlia, vuole immaginare che un giorno quel bambino verrà messo in croce.

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Pubblicato da: luigivassallo | 15 dicembre 2024

Natività

Nascerò tra voi, ma in verità vi dico che non nascerò per tutti voi.

Non nascerò per i ricchi che hanno già la loro consolazione, ma per i poveri.

Non nascerò per quelli che a pancia piena continuano ad ingozzarsi, ma per quelli che hanno fame.

Non nascerò per quelli che sono sempre ridanciani e in festa, ma per quelli che piangono.

Non nascerò per quelli che insultano o corrompono i giudici, ma per quelli che hanno fame e sete di giustizia.

Non nascerò per quelli che si battono il petto e dicono “Signore, Signore”, ma per quelli che aiutano i deboli e gli sventurati.

Non  nascerò per chi sta coi tiranni che opprimono e violentano o istupidiscono le coscienze, ma per quelli che gli si oppongono e resistono.

Non nascerò per chi manipola i fatti e diffonde menzogne e revisionismi, ma per quelli che si ostinano a testimoniare la verità.

Non nascerò per chi chiude la sua porta in faccia al povero, ma per chi divide con gli altri quello che ha.

Non nascerò per chi si genuflette nel mio nome e intanto serve un altro padrone, ma per chi prende la sua croce e mi segue.

Non nascerò per i mercanti del tempio che vendono o comprano nel mio nome, ma per quelli che non si lasciano comprare.

Non nascerò per i sepolcri imbiancati che occupano le prime file dei templi che mi dedicano, ma per le prostitute, i drogati e i derelitti che si nascondono in fondo al tempio.

Nascerò per alcuni e non per gli altri. E gli altri mi uccideranno ancora una volta. E io chiederò al padre mio di perdonarli perché non sanno quello che fanno.

Amen.

(da Luigi Vassallo, EMPATIE, LFA Publisher)”

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Pubblicato da: luigivassallo | 15 dicembre 2024

I Magi

Matteo parla di Magi venuti dall’ Oriente, ma non ci dice né chi erano (sovrani? sacerdoti? studiosi?) né quanti erano.

Nella tradizione i Magi sono diventati tre, forse perché tre sono i doni che portano (oro, incenso, mirra). E sono diventati “re”, forse perché passano da un re all’ altro (prima Erode, poi il Redentore).

I loro nomi compaiono per la prima volta in un testo del VI secolo scritto in rozzo latino: sono più o meno i nomi che ripetiamo oggi.

Quanto alla loro età e alla loro forma fisica, nella tradizione sono un vecchio, un giovane, un nero (probabilmente un Etiope): è come se rappresentassero, per età e razza, l’ umanità intera che va a rendere onore al Redentore.

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Pubblicato da: luigivassallo | 15 dicembre 2024

Grotta o casa?

GROTTA O CASA? DOVE NACQUE GESÙ?

Matteo, nel suo racconto sulla visita dei Magi a Gesù, dice che questi entrarono in una casa dove trovarono Maria e il bambino.

Nel racconto di Luca, invece, c’è un angelo che invita i pastori ad andare a rendere omaggio a un bambino in una mangiatoia.

Da dove viene, allora, la versione della GROTTA?

In uno dei Vangeli apocrifi si legge che, quando Maria era prossima al parto, Giuseppe, trovandosi loro in un luogo deserto, la sistemò in una grotta e corse a chiamare un’ ostetrica.

Col tempo una comunità cristiana vicino a Betlemme cominciò a mostrare a fedeli e pellegrini la grotta in cui sarebbe nato Gesù.

Dobbiamo aggiungere che, da un punto di vista culturale, la grotta segna il passaggio dalle tenebre alla luce (il Redentore): con questo significato la grotta è presente anche in altre narrazioni religiose come quella su Mitra.

Infine, non è da sottovalutare il simbolismo della grotta che richiama l’utero di una donna (di una madre).

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Pubblicato da: luigivassallo | 15 dicembre 2024

Perché un bue e un asino?

PERCHÉ UN BUE E UN ASINO?

Nei racconti di Matteo e Luca il bue e l’ asinello non ci sono, tuttavia compaiono ben presto nell’ iconografia cristiana, soprattutto sui sarcofagi.

In questa iconografia i due animali hanno la testa rivolta verso la culla in cui è adagiato Gesu’.

Ricordiamo che, per la nascita di Gesù, Matteo accenna a una casa, mentre Luca a una mangiatoia. Col tempo le due versioni si fusero e allora apparve naturale che nella mangiatoia ci fossero anche animali. Così in alcuni racconti il bue e l’ asino divennero gli unici testimoni della nascita, mentre in altri racconti i testimoni erano i pastori e i Magi.

Perché proprio un bue e un asino nella mangiatoia? Vista la presenza di pastori, non sarebbe stata più ovvia la presenza di pecore?

Qua interviene l’ allegoria cioè una figura retorica che a un essere o un oggetto fa dire qualcosa d’altro da quello che è in apparenza 

Siccome il bue era considerato un animale puro e l’ asino un animale impuro, allegoricamente il bue rappresenta il popolo eletto (Ebrei) e l’asino i gentili (i non ebrei). Entrambi gli animali (cioè ebrei e non ebrei) si inchinano a Gesù.

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